Possiamo permetterci di non essere arrabbiate?, di Antonella Bellino

La storia raccontata da Lydia Cacho, e tradotta per l’Internazionale da Francesca Rossetti, stimola il confronto sui metodi in cui le donne, nei diversi contesti geografici e culturali del mondo, lottano per conquistare il proprio posto alla pari, libere dal giogo ancora saldo in mani maschili.


La nostra storia, in Italia – la Fondazione Nilde Iotti lo testimonia - ha fatto passi da gigante negli ultimi sessant’anni, e qui le donne (insieme a tanti uomini) generalmente riconoscono l’anacronismo dei metodi patriarcali; spesso sono in grado di riderne, se vi incappano. Non sempre, però, ne escono illese.

Qualcosa persiste, al di là dei costumi, della cultura e dei traguardi raggiunti. A volte sembra persino che le tante battaglie combattute dalle nostre madri, a suon di intelligenza, tenacia e fantasia, siano soggette ad essere assorbite appena possibile dalla pervicacia della presunta maggior forza maschile, che fa fatica a diventare finalmente ciò che è, cioè un mero pregiudizio.

Nei fatti, l’arretramento dietro la linea di quei preziosi traguardi sembra un moto ineluttabile per via di quella legge fisica che riconosce alla massa più pesante la capacità di spostare una massa più leggera.

È inutile nascondersi che anche qui la forza di decidere per grande parte appartenga ancora all’universo maschile, e l’esiguo gruppo di donne che marcia oltre la linea del traguardo fa comunque fatica, perché ragiona da pari e in modo lineare tra flutti di onde che spingono all’indietro, costretto a destinare tante energie per mantenere l’equilibrio tra spintoni centrifughi e centripeti.

Per quanto, tra le battaglie da vincere quotidianamente, anche per le donne la stella polare deve essere di non cedere alla rabbia ma di impegnarsi con la forza dell’intelligenza, c’è da chiedersi se non vi sia nella rabbia il carburante necessario a nutrire quella forza. Per fare massa, possiamo permetterci di non essere arrabbiate?

Antonella Bellino

29 settembre 2020