25 anni da Pechino, meritava di più, di Fiorenza Taricone

Nel 1995 si svolgeva a Pechino la IV Conferenza mondiale delle donne. Nella memoria politica italiana degli anni Novanta, l’evento di Pechino che vedeva riunite fisicamente le donne di gran parte del mondo, cioè una globalizzazione di genere finalmente evidente, non ha avuto molto spazio. E invece penso che quell'evento meritasse e merita una diversa attenzione


1. Pechino il lievito dell’utopia

La mnemotecnica, ovvero l’arte della memoria che prevede regole e metodi per memorizzare rapidamente e facilmente, estesa agli avvenimenti che hanno mutato la condizione femminile in Italia e nel mondo, non ha aiutato granché la conoscenza capillare della IV Conferenza mondiale delle donne di Pechino 1995.

Nella sottovalutazione dei percorsi di genere, gli anni Novanta hanno avuto tratti simili al decennio precedente; degli anni Ottanta si cita spesso un tratto negativo riassunto in varie tipologie di riflusso: dalla politica, dal femminismo, dal collettivismo, con il conseguente affermarsi dello yuppismo, del narcisismo, dell’edonismo; si dimentica però che i suoi inizi sono stati per esempio segnati dalla legge del 5 agosto 1981, n. 442, Abrogazione della rilevanza penale della causa d’onore, dalla parità fra padri e madri sui congedi dal lavoro per accudire i figli stabilita dalla Corte Costituzionale, dall’indennità di maternità per le lavoratrici autonome, per fare qualche esempio; e soprattutto nel 1984 dall’istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri della Commissione nazionale per la realizzazione delle pari opportunità fra uomo e donna, ad iniziativa soprattutto della senatrice Elena Marinucci.

Nella memoria politica italiana degli anni Novanta, l’evento di Pechino che vedeva riunite fisicamente le donne di gran parte del mondo, cioè una globalizzazione di genere finalmente evidente, non ha avuto molto spazio. Nella narrazione anche postuma di quegli anni, in cui dominava un nuovo potere, quello della comunicazione, i cambiamenti di solito evidenziati non erano da poco: il cambiamento della legge elettorale, dal proporzionale al maggioritario con il Referendum Segni nel ’91, che segnava il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, gli attentati mafiosi di Capaci nel ’92 e di via D’Amelio nel ’93, i processi di Tangentopoli con l’eliminazione di gran parte della classe politica, il fallimento della bicamerale presieduta da De Mita e da Nilde Iotti, ma anche di quella successiva presieduta da D’Alema nel ’98, la crisi dei partiti politici con lo scioglimento della Democrazia Cristiana, che diventava Partito Popolare Italiano, del Partito Comunista che diventava Partito Democratici di Sinistra, del Movimento Sociale mutato in Alleanza Nazionale, e la nascita di nuove formazioni quali Forza Italia, Lega, Ulivo. L’incarico a Lamberto Dini di formare un governo di tecnici, non legati a formazioni partitiche, rappresentava un inedito nella politica italiana; infine, in politica estera, con il biennio 1995-‘96 l’Italia entrava a far parte del Consiglio di sicurezza Onu.

Ma per le donne italiane, gli anni Novanta segnavano anche un pesante ridimensionamento dello Stato sociale, con le quotidiane conseguenze sulle famiglie i cui effetti, per effetto del trascinamento, sono evidenti ancora di più oggi. La Conferenza Mondiale di Pechino non si può dire in definitiva che abbia galvanizzato né allora l’attenzione, né il ricordo postumo.

A distanza di pochi mesi dall’apertura della IV Conferenza Mondiale, 7000 bosniaci musulmani da parte erano massacrati dai militari serbo bosniaci nell’enclave di Srebrenica; un po’ paradossalmente, perché una delle strategie chiave di Pechino sarà l’inviolabilità del corpo femminile; la metà del decennio si connotava invece per l’estrema offesa al corpo femminile considerato arma da guerra, con lo stupro etnico, con il conseguente dramma degli aborti e della malattie indirette, psicologiche e fisiche che una violenza continuativa con l’interruzione forzata, oppure il suo rifiuto, comportavano.

2. Dietro l’angolo della storia: da Città del Messico a Pechino

Firmavo con questo titolo l’articolo pubblicato nel 1995 sul Periodico d’informazione e aggiornamento della Commissione Nazionale Parità, Né più né meno, uscito per pochi numeri. Tracciavo il percorso che aveva portato alla IV Conferenza Mondiale e le grandi aspettative. La Conferenza, non fa mai male ricordarlo, arrivava a conclusione di un percorso organizzato dall’ONU dal 1975, sull’onda del femminismo mondiale, con la prima Conferenza mondiale a Città del Messico.

I delegati ufficiali di circa 125 paesi votavano una dichiarazione sull'uguaglianza delle donne e sul loro contributo allo sviluppo e alla pace; nel proclamare il decennio della donna sui temi dell'uguaglianza, sviluppo, pace, fu creato nel 1976 anche un fondo di contributi volontari, per finanziare attività e progetti a favore delle donne. Nel Piano d'azione si riaffermavano concetti di enorme importanza, oggi storicamente datati: lo sviluppo di un paese e la causa stessa della pace esigevano la partecipazione delle donne che dovevano godere dei frutti del progresso economico e sociale su un piano di perfetta uguaglianza con l'uomo; l'Assemblea dell'Onu, oltre a fare espressa richiesta ai governi di favorire l'inserimento delle donne nel mondo politico e decisionale, denunciava problemi ancora largamente irrisolti: l'educazione diversa dei figli in base al sesso, la scelta da parte delle donne di mestieri e attività tradizionalmente femminili, ma contemporaneamente la loro svalutazione alla vita sociale ed economica. Il surmenage delle donne lavoratrici divorava inoltre il tempo libero.

Guardare oggi retrospettivamente a Città del Messico, e al suo tasso di femminicidi, è doloroso soprattutto se si pensa a Ciudad Juarez, cittadina messicana al confine con gli Stati Uniti dove dal 1993 centinaia o forse migliaia di ragazze meno che trentenni erano state violentate, torturate, uccise e abbandonate nel deserto; molte erano operaie impiegate nelle maquiladoras, imprese straniere per lo più americane che impiegavano manodopera di confine per il basso costo. Le attiviste americane e le associazioni di madri coinvolte, di cui si era fatta portavoce Marcel Lagarde, femminista, professoressa di Antropologia e Sociologia nella Universidad Nacional Autonoma del Mexico, si erano fatte portavoce delle proteste; sviluppando il concetto teorizzato da Diana Russell, recentemente scomparsa, la prima a definire il femicide come omicidio di una donna in quanto donna da parte di un uomo, Lagarde e le altre avevano denunciato l’indifferenza dello Stato che aveva quasi ignorato l’accaduto, attribuendolo a serial killer, a trafficanti di esseri umani o addirittura al diablo.   

Cinque anni dopo, alla conferenza mondiale di Copenaghen del 1980 parteciparono 145 paesi e più di 1000 delegati ufficiali cui spettò il compito di fare un primo bilancio e soprattutto di aver steso la Convenzione per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, comunemente nota come Cedaw.

In 30 articoli furono fissati in forma giuridica e internazionalmente accettata principi e misure diretti a eliminare tutte le discriminazioni contro le donne, ma dato ancora più importante era che le norme vincolavano gli Stati firmatari; in forza di questo, quando la convenzione era ratificata da uno Stato, le leggi nazionali dovevano essere modificate secondo i principi della Convenzione stessa.

Molto quindi era sul piatto degli sviluppi futuribili, ma pochi cambiamenti si registravano sul versante quantitativo e rispetto a Città del Messico; le donne erano sempre il 50% della popolazione mondiale adulta, ma rappresentavano un terzo della manodopera ufficiale; coprivano quasi due terzi delle ore di lavoro, ma ricevevano un terzo della rendita mondiale e possedevano meno dell'1% della proprietà mondiale. In compenso, a Copenhagen nel 1980 si riaffermava un importante principio d'azione Onu: la ridefinizione del termine lavoro inteso come partecipazione alla vita attiva, che includeva anche il lavoro non remunerato fatto a casa o nei campi; quasi una constatazione obbligo, visto che nei paesi industrializzati i lavori di casa non retribuiti costituivano il 25-40% del prodotto nazionale lordo.

Un calcolo del 1976 stabiliva ad esempio che se una donna americana fosse stata pagata per i servizi che assicurava alla famiglia sarebbe costata 14.500 dollari all'anno. Si riaffermò il principio che la partecipazione femminile costituiva un elemento indispensabile al processo di sviluppo mondiale.

La conferenza mondiale di Nairobi del 1985 segnò un salto di qualità perché rispetto a città del Messico quasi esclusivamente limitata alle delegazioni ufficiali le donne si muovevano in modo più organico. Sono due delle delegazioni ufficiali non comprendevano donne, molte invece riflettevano l'incremento della presenza femminile non solo in paesi come il Giappone, l'India, i paesi socialisti, ma anche il Burundi, il Cameroun, Trinidad, il Senegal, lo Srilanka, lo Zaire, e perfino il sultanato di Oman; inoltre intellettuali, docenti universitari, funzionari, dirigenti di associazione, per un totale di circa 5000 persone, erano presenti alla conferenza ufficiale, e 15.000 al forum delle organizzazioni non governative.

Nel Forum si svolgevano quotidianamente più di 100 work-shops, con una straordinaria partecipazione delle donne del terzo mondo e in particolare africane, che stabilivano un nesso evidente fra discriminazione sessuale e rallentamento dello sviluppo economico. Infatti, nonostante il duro lavoro delle donne nei campi, la terra apparteneva e agli uomini e a essi i governi si rivolgevano per fare prestiti, dare consigli, informare sulle nuove tecnologie e sui modi di usarle; le strategie per una effettiva parità, riassunte in 372 paragrafi, furono riunite in un documento approvato all'unanimità e nonostante le raccomandazioni non fossero obbligatorie per i paesi firmatari l’unanimità rappresentava pur sempre per le donne un potere contrattuale. Il divario fra i paesi industrializzati e il terzo mondo è stato uno dei temi portanti di Nairobi e anche di Pechino, tenendo conto che fra i grandi obiettivi del 2000 era previsto l'inserimento attivo nelle nuove tecnologie.

La Commissione Nazionale Parità presieduta nel triennio ’94-’96, da Tina Lagostena Bassi, da Livia Turco e poi da Silvia Costa aveva dedicato tempo, energia e attenzione alla IV Conferenza mondiale, ma anche alle conferenze preparatorie; quella su ambiente e sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992, seguita da Vienna del ‘93 dove i diritti delle donne erano stati finalmente dichiarati diritti umani, e quella tenuta al Cairo nel ’94 sul legame fra sovrappopolazione e sviluppo, che però aveva visto le donne contrapporsi sulle politiche contraccettive.

Un volume pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri s’intitolava Pechino 1996 Dichiarazione e programma d’azione adottati dalla quarta Conferenza mondiale sulle donne: azione per l’uguaglianza, lo sviluppo, la pace, con Prefazione della Presidente Livia Turco, che considerava sia la Dichiarazione sia il Programma uno spartiacque nella politica delle donne sul piano istituzionale.

Le stesse partecipanti ne parlavano come di un evento tanto straordinario quanto ricco di passione sul piano umano e politico. Livia Turco ne sottolineava anche i punti più significativi: il passaggio dalle politiche di parità alla consapevolezza che per raggiungere l’uguaglianza di diritti e di condizione era necessario riconoscere e valorizzare la differenza di genere; la costruzione di un linguaggio universale, con il quale affermare che i diritti umani sono tali e sono universali se si riferivano alla realtà concreta di donne e uomini e se tutelavano il valore dell’integrità del corpo femminile; la visibilità di un femminismo transnazionale.

Il Programma d’Azione ruotava attorno a tre concetti chiave: genere e differenza, empowerment, mainstreaming. Per il primo le politiche avrebbero dovuto mettere al centro la reale condizione di vita delle donne e degli uomini, molto diseguale. Per il secondo concetto, elaborato dalle donne del cosiddetto sud del mondo, era necessario attribuire potere e responsabilità alle donne, il che implicava anche il rafforzamento della propria autostima; il terzo termine era un sostantivo di difficile traduzione letterale, ma di fatto proponeva di inserire una prospettiva di genere, il punto di vista delle donne, in ogni scelta politica, programmazione e azione di governo.

La Commissione Nazionale assumeva come terreno di lavoro il Programma d’azione in buona compagnia dei Governi partecipanti alla Conferenza, che ascoltando la voce delle donne di tutto il mondo, riconoscendone la diversità e constatando che l’aumento della povertà affliggeva in particolare donne e bambini, riaffermava il suo impegno per realizzare l’uguaglianza dei diritti e l’intrinseca dignità umana di donne e uomini; con questi intenti aderiva ai principi consacrati dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalla Convenzione sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione per le donne, dalla Convenzione sui diritti del bambino, dalla Dichiarazione sulla eliminazione della violenza contro le donne e infine dalla Dichiarazione sul diritto allo sviluppo.

I Governi si dicevano determinati a garantire il pieno esercizio da parte delle donne e delle bambine di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali, adottando misure efficaci contro le violazioni, adottando tutte le misure necessarie per rimuovere gli ostacoli e incoraggiando anche gli uomini a partecipare alle iniziative per la parità.

In questo cammino le iniziative concrete per la pace erano essenziali perché fondamentale era stato il ruolo svolto dalle donne nei movimenti pacifisti; l’obiettivo era un disarmo generale e completo, sotto il controllo internazionale, e un trattato universale, multilaterale e verificabile, per la proibizione degli esperimenti nucleari.

Erano nominate spesso accanto al sostantivo donne, le bambine, una delle conquiste più preziose della Conferenza di Pechino; finalmente i bambini venivano distinti dalle bambine, il cui genere di appartenenza costruiva destini diversificati. Pertanto, concludeva il documento, adottiamo e ci impegniamo come Governi a tradurre nei fatti il Programma d’azione, chiedendo al sistema delle Nazioni Unite, alle istituzioni finanziarie regionali e internazionali alle istituzioni regionali e internazionali, a tutte le donne e uomini, così come alle organizzazioni non governative nel pieno rispetto della loro autonomia e a tutti i settori della società civile di sottoscrivere risolutamente e senza restrizioni il Programma d’azione, di partecipare alla sua realizzazione in collaborazione con i Governi(pp.3-8).

Nell’anno di Pechino, 185 erano i Paesi membri dell’Onu, (attualmente sono 193), più 15 organizzazioni internazionali e tre Stati osservatori: Palestina,Santa Sede, e Svizzera. La Seduta inaugurale e quella di chiusura si erano svolte nell’Assemblea del Popolo, le sedute ordinarie al Centro dei Congressi nei pressi del Villaggio Olimpico; la sede del Forum delle ONG, organizzazioni non governative come associazioni private, nazionali o internazionali, o gruppi d’individui con finalità economiche, politiche, culturali, umanitarie, scientifiche, (tutte vivaci e spesso guardate con preoccupazione), era ad Hairou, un villaggio isolato, a 53 km. dalla Conferenza e ancora di più dalla piazza Tienanmen; il Forum ha avuto due obiettivi, esercitare la propria influenza sulla piattaforma e far emergere le idee e le strategie delle donne per il mondo del 21º secolo, sintetizzati nella frase che ha rappresentato un po’ lo slogan di Pechino: Guardare il mondo con occhi di donna. Ben 300 ONG erano state escluse nella preselezione, in gran parte su pressioni del Governo cinese e della Santa Sede.

Erano espressamente vietati dal governo cinese il proselitismo religioso, l’introduzione d’immagini sacre ed erotiche, di frutti e di vegetali. Le Delegazioni ufficiali erano composte in media da 40 persone, e tra Conferenza e Forum delle Organizzazioni non governative erano state previste dalle 30.000 alle 500.000 persone. I media erano rappresentati da 3200 operatori e più di 4000 giornalisti provenienti da 124 paesi. Avevano a disposizione più di 3000 mq. come postazioni. 

La Commissione Nazionale Parità portava in Cina testi editati dalla Commissione stessa, oggi quasi introvabili se non nelle Biblioteche, Archivi, Centri di documentazione e che sono invece di estremo interesse anche per misurare il senso e la qualità dei cambiamenti. I testi erano: Codice Donna, Tempi diversi(l’uso del tempo di uomini e donne in Italia, La donna dei media, Arcobaleno Guida ai diritti delle donne straniere in Italia(tradotto per l’occasione anche in arabo), Elettrici ed elette, storia , testimonianze, riflessioni a cinquant’anni dal voto alle donne e il Rapporto italiano alla Conferenza Mondiale di Pechino.

Nel 1997 La Commissione Nazionale aveva anche pubblicato il volume fotografico della Mostra omonima, inaugurata a Roma, nella Sala Stenditoio del complesso monumentale di San Michele, (dal 26 novembre 1996 al 5 dicembre e dal 7 gennaio al 7 febbraio 1997), Le donne a Pechino: uno sguardo sul mondo. L’iniziativa era stata progettata quando Presidente della Commissione era l’on. Livia Turco e portata a termine con Simonetta Sotgiu e Agata Alma Cappiello.

All’interno compare l’elenco della Delegazione ufficiale italiana e anche delle ONG, specificando però che non esistendo un loro elenco ufficiale, la lista era stata desunta da documenti vari. Le foto di Graziella Vigo, Mirella Converso, la collaborazione di Marilisa Zito restituiscono l’atmosfera vivace e gli sguardi pieni di attesa delle donne di tanti paesi diversi. A volte è evidente la contrapposizione fra i ritratti compassati e istituzionali come quello di Mary Ann Glendon, capo delegazione della Santa Sede, rispetto al volto sorridente della scrittrice femminista Betty Friedan o delle rappresentanti ONG. Il silenzio che negli anni ha ovattato la Conferenza di Pechino ha avuto la meglio anche sulle proiezioni visive, che pure avrebbero dovuto avere sorte migliore rispetto agli scritti nella cosiddetta società dell’immagine.

3. Pechino +5

Agli inizi del nuovo millennio la Commissione Nazionale Parità, presidente Marina Piazza, pubblicava I diritti delle donne sono diritti umani. La Conferenza mondiale di Pechino del 1995 e il Pechino +5, con la collaborazione dell’Aidos Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo, presente anche a Pechino. La Presidente poneva l’interrogativo nella Prefazione su quanti degli impegni presi in quella sede erano stati portati avanti, con l’obiettivo di formulare strategie concrete e comuni per rilanciare la Piattaforma di azione del ‘95.

Alla 23a Sessione speciale dell’Assemblea Generale dell’ONU Donne 2000. Uguaglianza di genere, sviluppo e pace per il 21° secolo svoltasi a New York dal 5 al 10 giugno 2000, nota informalmente come Pechino+5, i Governi ribadivano il proprio impegno nei confronti della IV Conferenza mondiale sulle donne del 1995, ma accanto ai significativi progressi i/le delegati/e ammettevano la presenza di ostacoli considerevoli. Avevano quindi adottato una dichiarazione politica  e approvato ulteriori azioni per concretizzare la dichiarazione e la piattaforma di azione di Pechino.

Nonostante le differenti dimensioni della povertà maschile e femminile fossero sempre più spesso riconosciute la sessione speciale aveva convenuto che la disuguaglianza economica tra uomini e donne si era accentuata; la globalizzazione aveva certamente offerto ad alcune donne opportunità economiche migliori e una maggiore autonomia, ma aveva anche ulteriormente emarginato altre donne.

Le principali raccomandazioni si riferivano al fatto che bisognava incrementare le iniziative per la partecipazione femminile alle decisioni in materia di politica economica, attività per lo sviluppo, prevenzione e soluzione dei conflitti; occorreva anche aumentare l'alfabetizzazione degli adulti del 50% entro il 2015 e fornire l'istruzione elementare obbligatoria gratuita di ragazzi e ragazze, affrontando nei programmi di studio il tema degli stereotipi di genere, considerati come una delle cause della segregazione nel mondo del lavoro; c'era bisogno di provvedimenti legislativi più energici contro tutte le forme di violenza domestica, fra cui lo stupro degli abusi sessuali coniugali, poiché la violenza contro donne e ragazze era una violazione dei diritti umani; c'era bisogno di leggi e programmi educativi per sradicare politiche tradizionali nocive come le mutilazioni genitali, i matrimoni precoci e forzati, i delitti d'onore, lo sfruttamento commerciale del sesso, la tratta di donne e bambine, l’infanticidio delle bambine, i crimini di origini razziale e le violenze dovute a questioni di dote; pur essendo cresciuta l'attenzione per la salute sessuale e riproduttiva delle donne era ancora alta la mortalità e morbilità materna; tra le varie priorità sanitarie erano sottolineate la prevenzione delle gravidanze indesiderate, la diagnosi e cura del cancro della mammella, dell'utero, delle ovaie, dell'osteoporosi e delle malattie a trasmissione sessuale; non erano ancora state completamente attuate le raccomandazioni della Piattaforma d'azione che impegnava i governi a fare fronte alle conseguenze degli aborti a rischio come priorità per il servizio sanitario pubblico, e a ridurre il ricorso all'aborto attraverso i servizi di pianificazione familiare ancora insufficienti; carenti erano i programmi educativi per consentire agli e alle adolescenti di affrontare in maniera positiva la propria sessualità, ma anche gli uomini dovevano essere incoraggiati ad adottare un comportamento sessuale e riproduttivo responsabile, dotandoli di strumenti concreti per prevenire le gravidanze indesiderate e le malattie a trasmissione sessuale, tra queste l'HIV/Aids.

Infine, tutti avrebbero dovuto avere accesso universale e paritario per tutto l'arco della vita ai servizi pubblici essenziali per la salute, vale a dire acqua potabile, servizi igienici, nutrizione, sicurezza alimentare e programmi di educazione sanitaria.

Di quinquennio in quinquennio, da Pechino in poi, siamo ancora più facilitati con il Web ad avere una visione globale della condizione femminile, ma l'informazione non garantisce di per sé la formulazione di politiche risolutive. Si è verificato dagli anni ‘90 in poi un paradosso non privo di pericolosità: mentre la politica si è degradata come significatività nell'orizzonte comune, si è invece ingigantito il suo potenziale ruolo nella percezione, discussione, formulazione e applicazione di leggi nate dal confronto tra istituzioni e associazioni, cioè il modello della IV Conferenza mondiale di Pechino.

Fiorenza Taricone

16 settembre 2020