Covid. Nel mondo 6,6 milioni di contagi e più di 390 mila morti. Si potrà evitare la seconda ondata? di Grazia Labate

Al momento ciò che sappiamo è che testare, tracciare, trattare è l’unica vera arma a nostra disposizione oltre che le regole che abbiamo finora imparato: mascherina, distanza di sicurezza, igiene delle mani. Il nostro personale medico e sanitario ha imparato anche a trattare con terapie singole ed associate in tempo utile, la malattia per non finire tutti in terapia intensiva e per nostra fortuna siamo ad un trend che fa ben sperare


Secondo i ricercatori della Johns Hopkins University, si sa che almeno 6.663.729 persone sono state infettate, mentre almeno 391.656 sono morte dopo l'inizio dell'epidemia nel mondo (dati aggiornati alle ore 14 italiane di oggi).


Le cifre, che si basano su rapporti ufficiali, riferiscono i ricercatori, probabilmente sottostimano l'entità della pandemia a causa dei diversi regimi di test e registrazione dei dati.

Il Regno Unito, ad esempio, come già avvenuto in Italia, ha registrato un eccesso di mortalità dall'avvio dell'epiemia rispetto a quella attesa di circa 50mila morti di cui accertati Covid sono quasi 40mila. E tutto lascia presumere quindi che, rispetto ai dati accertati, le morti correlate all'epidemia possano esere molte di più.

Il conteggio arriva dopo 10 settimane dalla chiusura della nazione e conferma lo status della Gran Bretagna come uno dei paesi più colpiti da una pandemia.

Il bilancio delle vittime nel Regno Unito è più alto rispetto agli altri paesi più colpiti in Europa: Italia, Francia e Spagna, secondo i ricercatori dell'Università John Hopkins e il numero di persone uccise dal coronavirus nel Regno Unito da quando è emerso in Cina a gennaio è solo attualmente superato dagli Stati Uniti.

Il ministro del commercio del Regno Unito, Alok Sharma, si è sentito male nei giorni scorsi alla Camera dei Comuni, ha fatto il test ed è in autoisolamento. Le autorità parlamentari hanno igienizzato l’aula parlamentare e verificato che i parlamentari fossero distanti almeno 2 metri nel momento dell’accaduto.

In Germania, a Gottinga, la città universitaria tedesca, si è deciso di richiudere le scuole per una settimana, in via precauzionale, dopo l'esplosione di un focolaio di coronavirus. E anche a Berlino il ministro della Salute Jens Spahn ha messo in guardia dai party, dopo la grande manifestazione sui canotti nel canale di Kreuzberg, dove almeno 1.500 giovani hanno lanciato una protesta «per la cultura rave» nel weekend.

Nella capitale tedesca, è intanto risalito il tasso di contagio, e il ministro della salute del Gabinetto Merkel ha ammonito: «In occasione delle feste il virus si trasmette più facilmente. Le immagini dei giorni scorsi mi preoccupano. Siamo ancora nel mezzo della pandemia, consolidiamo i risultati raggiunti e continuiamo a prestare attenzione».

Parole che arrivano proprio mentre la Germania decide di rimuovere l'allerta sui viaggi in Europa dal 15 giugno, sostituendola con avvisi da ponderare paese per paese. Ma intanto anche la Germania vara un pacchetto di misure, post-blocco, di 130 miliardi di euro, volte ad accelerare la ripresa economica sia con incentivi per l'acquisto di nuove auto che con gli aiuti per i comuni fortemente indebitati dallo scoppio della pandemia.

In Spagna il congresso spagnolo ha approvato una sesta estensione di due settimane dello stato di emergenza del paese, che è in vigore dal 14 marzo. Il voto di mercoledì significa che le misure eccezionali che hanno sostenuto uno dei più severi blocchi europei Covid-19 rimarranno in vigore fino al 21 giugno.

Se andiamo fuori dall’Europa notiamo che in Brasile il bilancio totale delle vittime è di 34.021. Ma il presidente, Jair Bolsonaro, ha continuato a minimizzare la pandemia, anche se il ministero della salute brasiliano ricorda che il numero di casi (614.941) è secondo solo agli Stati Uniti.

Negli Stati Uniti i casi di coronavirus sono 1.872.660 e i deceduti sono 108.211 e il Paese si trova nel mezzo di una crisi economico sociale senza precedenti, acuita dal riemergere della recrudescenza razzista di questi giorni.

L'OMS riporta 100.000 nuovi casi al giorno negli ultimi 5 giorni, segnalando che l'epidemia cresce di ritmo in varie regioni del mondo. Contemporaneamente con il rallentamento delle regole del blocco, sono riapparse affermazioni circa il timore di una seconda ondata di Covid 19. La seconda ondata della pandemia di influenza spagnola nel 1918-20 fu particolarmente devastante, così come la seconda ondata dell'epidemia di H1N1 nel 2009-10. Quelle ci furono e sono documentate nei testi di storia della medicina e delle epidemie.

Quindi cosa si può fare per evitare una seconda ondata di COVID-19?
Al momento ciò che sappiamo è che testare, tracciare, trattare è l’unica vera arma a nostra disposizione oltre che le regole che abbiamo finora imparato: mascherina, distanza di sicurezza, igiene delle mani. Il nostro personale medico e sanitario ha imparato anche a trattare con terapie singole ed associate in tempo utile, la malattia per non finire tutti in terapia intensiva e per nostra fortuna siamo ad un trend che fa ben sperare.
 

Vedremo come andrà nei giorni a venire, dopo le vacanze estive, la ripresa del lavoro e a settembre delle scuole fino a quando affronteremo i rigori dell’inverno. Intanto la ricerca va avanti spedita sia per nuovi farmaci che per il vaccino.

Ma davvero c’è qualcuno che può pensare che si stia giocando al terrorismo psicologico o peggio alla visione disfattista che nulla si può fare tranne che rimanere fermi e bloccati quando si invita alla prudenza e alla cautela e al senso di responsabilità di ognuno e di tutti?

Che cosa anima davvero opposte fazioni e persino visioni diverse e contrapposte della scienza?
Abbiamo imparato che non ci sono certezze di fronte a SarsCOV2, anche se le avremmo volute, che la conoscenza per ora è limitata, che senza vaccini per ora non possiamo dichiarare il virus sconfitto. Sars Cov2 è subdolo oltre che invisibile, gira e viaggia spesso sottotraccia ed ogni tanto attizza focolai, perché ancora non c’è un paese che possa dire di aver raggiunto “l’immunità di gregge”.

Combinando vari approcci di sanità pubblica, paesi come la Slovenia e la Nuova Zelanda hanno sradicato il virus all'interno dei loro confini.
Ciò che sappiamo è che per nostra capacità di affrontare un lungo e difficilissimo lockdown e di scelte del Governo di implementazione di uomini, mezzi, strutture e terapie sperimentali più o meno collaudate, abbiamo posto fine clinicamente al devastante periodo di marzo e aprile.

Perché adesso vogliamo polemizzare o gettare ancora in confusione il cittadino?
Alberto Zangrillo, primario e direttore di Terapia intensiva all’ospedale San Raffaele di Milano, ha dichiarato che “il virus clinicamente non esiste più”. Secondo il virologo Guido Silvestri, sulle affermazioni del professor Zangrillo “si può discutere”. Il docente alla Emory University di Atlanta ha detto di non voler commentare troppo le dichiarazioni pubbliche dei colleghi. Poi ha precisato un aspetto per cui il primario del San Raffaele lo ha chiamato in causa, ovvero l’osservazione che la carica virale nei tamponi naso-faringei positivi per coronavirus è più bassa adesso che a inizio epidemia.
Silvestri ha rilevato su Facebook che “si tratta di dati di laboratorio molto solidi e in corso di pubblicazione”.

Li vedremo quando saranno pubblicati e certamente i ricercatori ed i clinici li commenteranno. Una ricerca condotta dal San Raffaele di Milano ha dimostrato che tra marzo e maggio la quantità di virus presente nei soggetti positivi è calata in modo notevole. Lo studio è stato curato da Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia del nosocomio milanese. "Abbiamo analizzato 200 nostri pazienti - ha spiegato il medico al Corriere della Sera-, paragonando il carico virale presente nei campioni prelevati con il tampone. Ebbene i risultati sono straordinari: la capacità replicativa del virus a maggio è enormemente indebolita rispetto a quella che abbiamo avuto a marzo. E questo riguarda pazienti di tutte le età, inclusi gli over 65".

L’esperto ha precisato che ora il virus si sviluppa di meno ma non ci sono certezze sulle origini del fenomeno. Sull’ipotesi di nuove ondate, Clementi non le ha escluse, ha ipotizzato dei focolai locali.
“Sarà determinante il modo in cui sapremo reagire, isolandoli, individuando i contatti e affidando i pazienti alla medicina di territorio - ha proseguito il virologo - per lasciare gli ospedali solo a eventuali casi gravi”.

Sulla stessa linea d’onda anche il Prof. Francesco Le Foche, immunologo clinico, responsabile del Day hospital di Immunoinfettivologia del Policlinico Umberto I di Roma. Ha anche detto che non ci sono evidenze scientifiche sul fatto che l'epidemia tornerà a colpirci in autunno. "Ciò che sappiamo - ha concluso Le Foche - è che normalmente, quando di mezzo ci sono virus pandemici, si verificano delle seconde ondate, ma per la Sars e la Mers non è accaduto".

Perché il virus si diffonda, ha bisogno di una scorta di host sensibili e infetti e una trasmissione di successo. Questi fattori sono convenientemente catturati dal numero di riproduzione, R, il numero medio di nuovi casi causati da un individuo infetto. Un valore di R sopra uno indica che il numero di casi sta aumentando, mentre sotto uno diminuiscono. Prima del blocco, il valore di R per il coronavirus era stimato tra due e quattro.

Paesi come la Cina, la Corea del Sud, la Nuova Zelanda, il Regno Unito e la maggior parte dei paesi europei hanno ora ridotto questo valore al di sotto di uno. In altri paesi, come la Svezia o la Russia, il valore di R rimane vicino o al di sopra di uno, riflettendo l'aumento del numero di casi.
La relazione tra il comportamento della popolazione e il valore di R è complicata , ma possiamo ancora usare questo concetto per illustrare cosa potrebbe succedere se si riaccendessero focolai che potrebbero portare ad una seconda ondata.

Finché ci sono persone sensibili e infette nella popolazione, il virus può diffondersi. Si stanno accumulando prove del fatto che la prima ondata dell'epidemia ha prodotto solo un'immunità limitata , ben al di sotto dei livelli di immunità di gregge . Ci sono anche sacche di una popolazione in cui il virus non solo sopravvive ma continua a diffondersi. La trasmissione nelle case di cura per anziani rappresenta ancora una grande percentuale di casi in molti paesi. Poiché le misure di blocco si sono allentate, le persone iniziano a interagire di più. Ciò potrebbe comportare un aumento dei valori di R. Ma è fondamentale che il valore di R sia mantenuto al di sotto o uguale a uno.

Ma anche una modifica relativamente modesta di R a 1,2 comporterebbe una grande preoccupazione perché potrebbe causare una seconda ondata , dimostrando quanto sia importante tenere le misure di controllo corrette.
La risposta alla seconda ondata richiederebbe misure di blocco ricorrenti. Ma mentre la società ha finora risposto positivamente alle restrizioni, la fatica e la conseguente crisi da blocco potrebbe rendere più difficile imporre di nuovo politiche così rigide.

Uno scenario che coinvolge più epidemie e periodi di blocco è quanto di più temibile possa capitare.
L'epidemia potrebbe continuare in autunno e in inverno quando l'influenza stagionale potrebbe essere prevalente . Il sistema sanitario potrebbe essere sopraffatto se COVID-19 e l'influenza colpissero allo stesso tempo. Infine, il virus potrebbe mutare con conseguente tensione più o meno infettiva. L’osservazione corroborata dai dati ce lo dirà.

Quello che sappiamo è che i governi stanno bilanciando le esigenze dell'economia e della vita sociale con la soppressione della diffusione del virus. Testare, tracciare e trattare nonchè risposte sanitarie adeguate sul territorio, sono elementi chiave della strategia per sconfiggere il virus. Modelli e concetti epidemiologici come la R aiutano a stabilire dove, come, quando e per quanto tempo il governo deve intervenire per prevenire focolai e ondate di ritorno.

La stabilizzazione dell'epidemia richiede tempo nel mentre si ricercano farmaci efficaci o vaccini. Forse le temperature più calde aiuteranno, se ci allontaniamo responsabilmente socialmente all'aperto mentre l'epidemia brontola. Ma quando il clima più freddo ci spingerà al chiuso, senza un vaccino e, se il tracciamento dei contatti non sarà stato intensificato in modo massiccio, è possibile che si possa verificare una seconda ondata.

Non perché sia fatalmente così, ma poiché non avremmo fatto tutto ciò che va fatto per portare il virus all'estinzione, portandolo con i nostri comportamenti scorretti ad una seconda vita. Dunque l’esperienza ci consegna una grande verità: stiamo pagando a caro prezzo il lungo periodo di blocco, abbiamo pagato in termini di vite umane perse e vedremo in futuro, in qualità di vita e salute per tutti coloro che comunque sono guariti, il nostro sistema sanitario ha retto, ma va profondamente ripensato e riorganizzato, la ricerca e le sperimentazioni in atto corrono veloci per traguardare efficaci terapie e vaccini, abbiamo lavorato tutti gomito a gomito per far fronte alle difficoltà enormi che avevamo davanti, ma ci ha sorretto un grande spirito di solidarietà e di squadra di fronte all’epidemia.

Ora che i numeri ci sono favorevoli e che abbiamo un urgente bisogno di affrontare il dopo, proprio la scienza, la ricerca, la medicina e la clinica nelle quali avevamo ed abbiamo riposto la nostra fiducia non possono gareggiare o guerreggiare. Confronto, trasparenza dei dati conoscenza comune delle sequenze e delle esperienze in campo, possono costituire il cemento del we build del futuro dell’umanità. Se non vinciamo tutti non vince nessuno. E’ un dovere morale culturale e politico che abbiamo di fronte ai nostri figli ed ai nostri nipoti.

Grazia Labate
Ricercatrice in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità

da: Quotidiano Sanità

05 giugno 2020