Siamo un paese di vecchi che deve imparare a rispettare i vecchi, di Livia Turco

Il modo migliore di rendere onore ai nostri vecchi che sono stati uccisi dal virus che ci tiene prigionieri è l’impegno che dobbiamo assumerci fin da ora a costruire politiche decenti per le persone anziane.


Non cadiamo nella perfidia del relativismo etico per cui nella catastrofe è inevitabile che i più anziani debbano andarsene. Un pensiero non detto ma che magari lasciamo albergare nel nostro cuore. Sarebbe una disfatta della nostra convivenza civile. Bene ha fatto strisciarossa a ricordare chi erano i nostri vecchi che ci hanno lasciato. Erano i combattenti per la democrazia e la libertà, coloro che hanno costruito lo sviluppo del nostro Paese, che ci hanno cresciuti, che hanno fatto i sacrifici per il nostro benessere e che, in tanti, hanno vissuto in solitudine gli ultimi anni della loro vita.

Il modo migliore di rendere onore ai nostri vecchi che sono stati uccisi dal virus che ci tiene prigionieri è l’impegno che dobbiamo assumerci fin da ora a costruire politiche decenti per le persone anziane.

Un paradosso
Lo si deve fare partendo dalla constatazione che è paradossale che noi che siamo un paese con un’alta popolazione anziana non abbiamo costruito pensieri e politiche per costruire una società che promuova l’invecchiamento attivo, che attivi politiche per prevenire, rallentare, prendere in carico la non autosufficienza. Siamo un Paese con una generazione giovane che vive la precarietà; con una popolazione anziana che sostiene i giovani e le famiglie; che quando gli anziani si ammalano gravano sulle spalle delle famiglie medesime; anziani che tante volte sono lasciati soli.

È il segnale macroscopico di un welfare da riformare. Un welfare che metta al centro la persona, la dignità del lavoro, la solidarietà tra le generazioni, tra donne e uomini, tra nativi e migranti. Su questo tema ci sono montagne di studi, di elaborazioni ed è perciò ancora più grave la nostra incapacità a prendere decisioni. Ci sono anche tante leggi che riguardano la medicina territoriale, le Case della Salute, l’ integrazione socio sanitaria, la rete integrata dei servizi sociali, il coinvolgimento degli anziani attivi nella vita di comunità.

Allora dobbiamo chiederci: perché questa idea di welfare comunitario, questa idea della salute come benessere della persona e della comunità, tradotta anche in leggi come la 229/98 e la 328/2000 rispettivamente sulla salute e sui servizi sociali è stata abbandonata?

Perché si sono ritenuti, anche a sinistra, più efficaci i bonus monetari anziché i servizi sociali? Perché si è continuato a praticare in tante parti del paese una sanità ospedalocentrica?

Per ripartire non bastano l’aumento delle risorse, i dispositivi medici, gli investimenti nella ricerca. Bisogna cambiare il paradigma del welfare e delle politiche della Salute che sono prevalse nell’ultimo decennio, incentrate su bonus monetari in cambio di servizi sociali ed un approccio economicista alla salute.

Bisogna tornare ai fondamentali, a quanto ci ha indicato la Organizzazione Mondiale della Sanità fin dalla Conferenza di Alma Ata del 1978 e della Carta di Ottawa del 1986 per la promozione della salute, quella del 2016 per lo sviluppo sostenibile.

La salute, un bene comune
Tutte ruotano attorno a questa idea: “La salute è creata e vissuta dalle persone all’interno degli ambienti organizzativi della vita quotidiana, dove si studia, si lavora si gioca, si ama. La salute è creata prendendosi cura di se stessi e degli altri, essendo capaci di prendere decisioni, di avere il controllo sulle diverse circostanze della vita, garantendo che la società in cui uno vive sia in grado di creare le condizioni che permettono a tutti i suoi membri di raggiungere la salute. Fattori politici, economici, sociali, culturali, ambientali, comportamentali e biologici possono favorire la salute ma possono anche danneggiarla.”

La salute è un bene comune ed appartiene prima di tutto alla comunità. La salute della comunità, la comunità della salute è il paradigma che ha dimostrato la sua efficacia, la sua forza. È il paradigma da cui ripartire. Facendo tesoro delle tante esperienze positive realizzate in tante Regioni del nostro Paese. Come confermano due libri utili da leggere perché contengono pensieri e buone pratiche. “La salute cerca casa” animata dalla Casa della Carità di Don Virginio Colmegna a Milano e “Cure primarie e servizi territoriali ” a cura di Gavino Maciocco (Carrocci Editore).

La salute prima di tutto, recita un detto comune. Bisogna tradurlo in visione della società e della politica.

Livia Turco

Striscia Rossa (18 aprile 2020)

18 aprile 2020