“Nilde Iotti: quella donna emancipata”, di Patrizia Caporossi

La sua biografia si è sempre arricchita di scelte personali, anche private e privatissime, che, in certi ambienti politici della stessa sinistra italiana, hanno fatto scalpore e, alla fine, modificato costume e mentalità.


Che Leonilde o meglio Nilde Iotti (1920-1999) appartenga alla storia (politica) delle donne italiane del Novecento è, per le donne della mia generazione, un dato di fatto, di cui ovviamente memorie e testimonianze ne segnano non solo la presenza, ma soprattutto la pregnanza, avendo contribuito alla democraticità delle istituzioni del nostro paese, come comunista, fin dal dibattito alla Costituente, di cui giovanissima ne è parte attiva.

Contemporaneamente la sua biografia si è sempre arricchita di scelte personali, anche private e privatissime, che, in certi ambienti politici della stessa sinistra italiana, hanno fatto scalpore e, alla fine, modificato costume e mentalità. Era una donna emancipata che veniva dalla realtà emiliana, in una famiglia perseguitata dal regime fascista anche per le idee socialiste del padre ferroviere e lì s’è forgiato il suo forte carattere, già manifesto nella scelta dei suoi studi di Lettere all’Università Cattolica di Milano. Scelta che spesso dovette giustificare perché, in quel secondo dopoguerra, fuoriusciva dal rigido schema ideologico tra mondo cattolico e mondo comunista, fino a che negli anni 60 e 70 se ne definì, col termine cattocomunista, una sorta di categoria ideologica a sé. Ma, dalla fede religiosa si allontana proprio durante quel percorso universitario: "Al credo, perché assurdo, dissi razionalmente no", (KATIA ROMAGNOLI, in “Antifascismo”, www.storiaXXIsecolo.it, biografie).

E sull’onda sia dell’esempio paterno ma anche della energica tempra materna, si iscrive al PCI e già dal 1943 è attiva staffetta partigiana e appena ventenne diventa responsabile dei Gruppi Difesa Donna (GDD), facendosi interprete della coscienza civile e politica già per l’emancipazione femminile. Dopo la Liberazione, la Iotti è segretaria dell'Unione Donne Italiane a Reggio Emilia e verrà eletta al Consiglio Comunale nelle liste del PCI.

Nel 1946 è tra le 21 Costituenti ed è questa la (sua) grande occasione politica ma anche privata: è qui che conosce il leader comunista, Palmiro Togliatti e ambedue si innamorano. Si misura, allora, personalmente col senso del privato politico e viceversa: non fa un passo indietro, resistendo alle chiacchiere, dentro e fuori il PCI, perché Togliatti era sposato con una compagna, Rita Montagnana, sua collega alla Costituente e aveva un figlio, oltre che era un uomo di ben 27 anni più grande. Il suo carattere non solo si forgia politicamente ma anche privatamente o meglio emerge così la sua personalità, determinata e decisa, capace di fare virtù di ogni esperienza: e stare all’Assemblea costituente, vera scuola politica e conoscere la personalità di Togliatti, frequentandolo, sono state determinanti per la sua vita privata e pubblica.

Svolge per esempio un ruolo fondamentale nella “Commissione dei 75” per la nascita della Costituzione, aprendo il dibatto sulla necessità di un nuovo diritto di famiglia. "L'Assemblea Costituente (…) deve inserire nella nuova Carta Costituzionale l'affermazione del diritto dei singoli, in quanto membri di una famiglia o desiderosi di costruirne una, avendone particolare attenzione e tutela da parte dello Stato", (ibidem). E’ l’inizio di una lunga, anzi si può dire lunghissima attività parlamentare, ben 53 anni ininterrotti, in cui si contraddistingue per coerenza e autenticità.

Nella sua relazione alla Commissione dei 75 era già centrale l’esame del ruolo sociale e politico della donna: "Uno dei coniugi, la donna, era ed è tuttora legata a condizioni arretrate, che la pongono in stato di inferiorità e fanno sì che la vita famigliare sia per essa un peso e non fonte di gioia e aiuto per lo sviluppo della propria persona. Dal momento che alla donna è stata riconosciuta, in campo politico, piena eguaglianza, col diritto di voto attivo e passivo, ne consegue che la donna stessa dovrà essere emancipata dalle condizioni di arretratezza e di inferiorità in tutti i campi della vita sociale e restituita a una posizione giuridica tale da non menomare la sua personalità e la sua dignità di cittadina."(idem).

Il suo è già un tentativo molto avanzato di rinnovamento democratico, per la centralità del concetto e della pratica politica dell’emancipazione, tramite il lavoro e l’autonomia non solo economica: questo segnerà il dettato costituzionale nel dichiarare il diritto al lavoro senza distinzione di sesso. E anche tramite l’avvio del dibattito sull’indissolubilità del matrimonio e qui, si potrebbe affermare, anticipando la pratica femminista del partire-da-sé come vero e proprio atto politico.

Accanto a ciò c’è, comunque, quel principio necessario di uguaglianza giuridica dei coniugi, abolendo e superando il Codice Rocco del 1942, che di fatto considerava le donne come oggetti o meglio beni di proprietà prima del padre e poi del marito. Come così anticipa, aprendolo di fatto, il dibattito sulla maternità libera e consapevole con il suo valore sociale (cfr. GIULIANA DAL POZZO, Quanti ne vogliamo, quando li vogliamo, in “Noi donne”, 29, 1956).

La sua vita politica (e personale, in prima persona) è così delineata da questi principi, soprattutto verso i diritti delle donne, anche all’interno del PCI, dove vive momenti di grande difficoltà tanto che ottiene pieno riconoscimento, paradossalmente, solo dopo la morte di Togliatti nel 1964. Da dentro le istituzioni democratiche e repubblicane, diventa promotrice sia del referendum per il divorzio (1974) sia per il nuovo diritto di famiglia (1975) sia per l’interruzione di gravidanza (1978) e dal 1979 al 1992 ricopre, prima donna nella storia della Repubblica, la carica di Presidente della Camera, nel 1993 ottiene la Presidenza della Commissione Parlamentare per le Riforme istituzionali e nel 1997 viene eletta Vicepresidente del Consiglio d'Europa.

Si può affermare, alla fine, che anche il suo gesto di dimissioni e di ritiro, per malattia, dalla vita politica pubblica e istituzionale il 18 novembre 1999 è esemplare e coerente a quel tratto distintivo di donna libera e autonoma. Morirà pochi giorni dopo, il 3 dicembre 1999.

Patrizia Caporossi

(Filosofa e Storica delle Donne )

 

 

 

 

 

 

 

16 aprile 2020