Nilde Iotti a Milano e in Lombardia, di Barbara Pollastrini

Ho conosciuto Nilde quando ero giovane segretaria di Milano e poi della Federazione. Abbiamo voluto e avuto l’onore che fosse la capolista alle elezioni politiche più volte. Lei, attaccatissima alla sua terra e allora Presidente della Camera, amava la mia città e la sua modernità. La voleva conoscere nei vari risvolti della cultura, delle fabbriche, dell’arte, dei comuni attorno, dei suoi coetanei partigiani. 


Oggi, al tempo del nostro colera, ha un significato in più ricordare Nilde Iotti, a cento anni dalla nascita, il 10 aprile del 1920.
Quando sei nell’uragano vai a cercare soccorso nella storia e nei racconti, per capire il presente e vedere il futuro. A pensarci, Nilde viene alla luce mentre si estingue quel flagello che fu la spagnola coi suoi cinquanta milioni di morti.

Anche Reggio Emilia ne fu coinvolta, con gli strascichi di povertà, rabbie, consapevolezze, mescolati al dopo guerra dove sarebbero maturate le passioni positive di emancipazione di Egidio Iotti, suo padre sindacalista militante, e di sua madre Alberta Vezzani, cattolica praticante. O, viceversa, di passioni negative: è dell’anno scorso il centenario dei sansepolcristi a Milano, poi ci sarebbero stati la strage di Palazzo d’Accursio a Bologna, i primi eccidi nel reggiano, quel fascismo contro il quale Nilde avrebbe combattuto.

Ma sarei una stupida e presuntuosa se in poche righe volessi ripercorrere la vita di una personalità speciale della politica. Con altre e altri ero alla Camera per il suo funerale il 4 dicembre 1999. Rivedo i volti delle autorità e delle autorevolezze come Giorgio Napolitano, Carlo Azeglio Ciampi, Emanuele Macaluso, Giglia Tedesco, Marisa Rodano, Massimo D’Alema, Tina Anselmi, Rosa Russo Iervolino, Walter Veltroni, Achille Occhetto, Aldo Tortorella. Noi. Noi donne diverse, di differenti generazioni, di combattimenti e complicità. Ma a colpire era l’interminabile fila che saliva alla Camera per salutarla.

C’era chi arrivava con una rosa in mano, chi col pugno alzato, chi facendosi il segno della croce, chi bambino stringendo la mano al suo papà. Poi scolaresche con l’insegnante, lavoratori con la loro tuta, collaboratori, funzionari. Si snodava il riconoscimento a una donna, a quella donna leader popolare del Paese.

È la sequenza da cui potrebbe iniziare uno di quei film epopea che durano almeno quattro ore. Ma da cui scende un primo insegnamento. Nei momenti di crisi o di frattura del corso degli eventi - e col coronavirus vi siamo immersi - le classi dirigenti fanno la differenza. È decisiva l’etica della responsabilità di chi guida un’istituzione, un giornale, un semplice talk, una scuola, un sindacato o un’impresa.

Quell’etica della responsabilità veste quasi sempre uno stile di sobrietà del linguaggio, di studio, di rispetto e gentilezza per gli altri, le altre, di riservatezza. Eppure lei di sentimenti, emozioni, complicatezze ne aveva vissuti col suo amore per Palmiro Togliatti.

Ho conosciuto Nilde quando ero giovane segretaria di Milano e poi della Federazione. Abbiamo voluto e avuto l’onore che fosse la capolista alle elezioni politiche più volte. Lei, attaccatissima alla sua terra e allora Presidente della Camera, amava la mia città e la sua modernità. La voleva conoscere nei vari risvolti della cultura, delle fabbriche, dell’arte, dei comuni attorno, dei suoi coetanei partigiani.

Ma anche dal lato di una donna che non aveva paura di esserlo nello scegliere la sua personale eleganza, il fiocco dietro per raccogliere i capelli, la collana e quel suo darsi il rossetto.

Ora, nel nostro durante teso tra il Male e la Ricostruzione, ripensare a Nilde non è ritualità o passatismo. Non è fare santini di lei, di altre grandi come Tina Anselmi, Elena Marinucci e tante ancora. È trarre la spinta per cambiare dalla parte giusta e dare una mano alle più giovani. Oggi è un tramite per dire grazie a scienziate, infermiere, creative, amministratrici, volontarie. Per questo con Romana Bianchi, prima che il Covid impegnasse tanto di noi, pensavamo a una borsa di studio per una studentessa che in università ci aiutasse nella narrazione di Nilde Iotti a Milano e in Lombardia.

È una dote che vorremmo portare alle ragazze e alla Fondazione presieduta da Marisa Malagoli e da Livia Turco. Un modo, fatemelo dire, per esprimere gratitudine alle mie coetanee con cui abbiamo tentato di fare e pensare. Ognuna ha i propri ricordi. Io di incontri pubblici, di passeggiatine e conversazioni. Chi era in Parlamento, della sua capacità di governare aula e argomenti.

Chi l’ha vista al lavoro, per le alte mediazioni su temi di diritti e civiltà sostenuti dai movimenti delle donne. Chi per un’attenzione vera alle riforme istituzionali. Chi, come i suoi collaboratori straordinari, Giorgio Frasca Polara e Rita Palanza, ne conserva ancora la stima. Chi per i legami con Reggio Emilia come Elena Montecchi o per familiarità come Franca Chiaromonte.

Con Lalla Trupia e Alfonsina Rinaldi eravamo alle nostre prime direzioni nazionali. Lei già un monumento che prendeva parte. Ed era di parte anche nel partito dove non mancavano discussioni difficili. Ma conosceva l’arte e il valore del dialogo e forse ripartiamo dal 1920 quando il suo papà, la sua mamma, la sua terra sapevano mescolare socialismo e solidarismo in un’idea di mutuo soccorso senza confini.

Barbara Pollastrini

08 aprile 2020