Basta morire in mare di Vaifra Palanca

Due nuovi libri - uno di Francesca Mannocchi, l’altro di Annalisa Camilli – sulla tragedia dei profughi nel Mediterraneo. Mannocchi, In questo libro, Io Khaled vendo uomini e sono innocente, ci pone di fronte alle confessioni di un trafficante di uomini, Khaled, che svolge questa attività come fosse un lavoro normale.

Camilli,  nel suo La legge del mare, ci consente di guardare a questa situazione dal punto di vista di chi, da quest’altra sponda del Mediterraneo, arriva o accoglie, soccorre, ma anche contrasta l’approdo di naufraghi.


Un’ennesima strage del mare. Donne e bambini morti tra le onde mentre le navi delle ONG sono ferme nei porti per controlli perché hanno violato dei decreti che paradossalmente vanificano la legge del mare che afferma: soccorrere sempre chi è in pericolo, porti sempre aperti per accogliere. In questo contesto è utile rileggere insieme due libri di due giornaliste, che conoscono bene gli argomenti di cui scrivono, di cui uno parla della situazione dei migranti bloccati in Libia e dei preparativi dei viaggi verso l’Europa, l’altro invece descrive ciò che, avviene in Italia, di fronte a questa deriva umanitaria, attraverso la ricognizione delle vicissitudini cui sono andate incontro le navi delle ONG che hanno soccorso i naufraghi e le risposte contenute nei provvedimenti legislativi approntati dal Governo Conte- Salvini.

Francesca Mannocchi, brava e coraggiosa giornalista, con i suoi articoli e documentari ci ha fatto conoscere quale inferno rappresenti la Libia per i migranti. In questo libro, Io Khaled vendo uomini e sono innocente, ci pone di fronte alle confessioni di un trafficante di uomini, Khaled, che svolge questa attività come fosse un lavoro normale secondo una propria etica e con la chiara consapevolezza dei limiti, dei costi e dei vantaggi che esso comporta. Attraverso le parole del suo testimone possiamo conoscere la disumanità dei centri di accoglienza dei migranti in Libia, siano essi governativi e finanziati con i soldi italiani che abusivi, gli orrori dei lager e la brutalità dei comportamenti dei custodi e dei trafficanti o di chiunque venga in contatto con loro. Possiamo nello stesso tempo cogliere il percorso di progressiva anestetizzazione di ogni moto di pietà e di compassione attraverso il quale il testimone è potuto passare dall’essere un semplice gregario delle bande più crudeli a impresario temuto e rispettato del traffico di esseri umani, attento ai guadagni ma anche alla sicurezza e al successo delle operazioni da lui organizzate.

Khaled è un ex rivoluzionario che ha combattuto la dittatura del periodo di Gheddafi andando contro gli atteggiamenti della famiglia, ha coltivato speranze di libertà pagando per questo prezzi altissimi come l’uccisione dei “nemici” della rivoluzione e la perdita di tanti amici incluso suo fratello, ha visto il ritorno in posizioni di potere, dopo la rivoluzione, persone che fino a poco tempo prima erano i suoi nemici, ha visto svanire il suo progetto di vita fatto di studi e l’esercizio di una professione. Ha anche conosciuto la violenza, la crudeltà, la disumanità delle bande criminali che si spartiscono la più importante fonte di reddito (i migranti) per i poveri che non hanno accesso agli introiti del petrolio, ha sentito la puzza delle loro prigioni, ascoltato le urla delle persone torturate e i pianti disperati delle donne violentate. In questo contesto ha ritenuto che potesse essere un’operazione umanitaria facilitare la fuga di queste persone da questo inferno, come loro stesse chiedevano, mantenendo fede ai propri principi morali. Lui organizza viaggi dietro pagamento per persone che comunque hanno disponibilità economiche, non estorce denaro con la violenza, punta ad acquistare appartamenti per garantirsi una sicurezza economica quando questo flusso di disperati sarà superato. Non approfitta delle condizioni di totale dipendenza in cui si trovano, , ciononostante non riesce a guardarli negli occhi per di non farsi coinvolgere emotivamente.

Non c’è nessuna concessione da parte della giornalista alle motivazioni a suo modo etiche, razionali che il protagonista delle sue conversazioni adduce per spiegare e giustificare la sua attività, anzi è proprio attraverso i suoi racconti e ragionamenti che si rafforza nel lettore la istintiva reazione di indignazione di fronte a comportamenti considerati disumani. Ma è anche attraverso i suoi racconti che si può conoscere il sistema criminale che tiene in piedi questo turpe un mercato di esseri umani, la catena di comando, i prezzi dei viaggi, la gerarchia dei prodotti (i siriani sono i più richiesti, poi eritrei infine gli africani subsahariani), le connivenze.

Quello che emerge è una situazone di totale disfacimento del contesto sociale, economico, politico ed istituzionale di questo paese, una situazione di confusione, di assenza di regole, nel quale il potere è gestito da bande sanguinarie asservite a capi che manifestano con la violenza delle armi la propria sete di soldi, di sopraffazione nei confronti di persone ferite nella loro dignità, sfruttate economicamente, provate da esperienze pregresse di violenze, guerre, fame, siccità. Il governo non ha alcuna autorità su queste bande, eppure affida loro la gestione dei centri finanziati da Unione europea e anche dall’Italia.

Annalisa Camilli, anche lei coraggiosa giornalista di inchiesta, ci consente di guardare a questa situazione dal punto di vista di chi, da quest’altra sponda del Mediterraneo, arriva o accoglie, soccorre, ma anche contrasta l’approdo di naufraghi. Annalisa Camilli conosce bene il lavoro delle ONG per aver partecipato ad almeno due missioni di soccorso, e nel suo libro, La legge del Mare, ricostruisce con meticolosa precisione le vicende che hanno interessato gli ultimi due anni. I racconti dei salvataggi sono da un lato strazianti ma dall’altro commoventi per la partecipazione la generosità lo slancio dei soccorritori e del loro dolore quando ad essere recuperato tre le onde è un cadavere, a volte di bambino. E palpabile è la delusione e l’incredulità di fronte al diniego di ingresso nei porti da parte delle autorità per rifornimenti o per portare in un porto sicuro i naufraghi sopravvissuti che finalmente pensano di vedere nel ricco Nord la loro salvezza.

Annalisa Camilli ci ricorda la storia di Josefa, unica sopravvissuta ad un carico di disperati sopraffatti dalle onde del mare (è difficile dimenticare lo sguardo di questa donna che aggrappata ad un legno della barca ha visto morie intorno a se tutti i compagni di viaggio), ma ci ricorda  anche la meschinità delle polemiche che sono sorte intorno al  suo salvataggio perché al momento dello  sbarco  aveva le unghie smaltate, frutto di un gesto di compassione delle donne che le sono state vicine in quel momento. 

Questo atteggiamento di sospetto e di critica è solo un assaggio della guerra ingaggiata dal governo italiano nei confronti delle navi delle ONG dedicate al salvataggio dei naufraghi, nell’indifferenza e con la complicità di altri Paesi europei. Non solo è stato, per giorni vietato l’ingresso nei porti italiani, considerati porti sicuri nel cuore del Mediterraneo a queste navi, cariche di naufraghi, infliggendo loro un inutile supplemento di sofferenza, ma le navi stesse, e le ONG che tuttora le sostengono, sono state sottoposte a indagini, sequestro giudiziario, sanzioni amministrative e pecuniarie.

Nel libro sono ben descritti i diversi episodi che hanno visto di volta in volta protagoniste le navi Open Arms, Juventa, Aquarius, Mediterranea e persino la Nave della Marina italiana Diciotti, costrette a vagare nelle acque del Mediterraneo, perché il Ministro dell’Interno italiano pensava, con lo slogan porti chiusi, di fermare l’immigrazione verso l’Italia, il traffico di esseri umani, l’arrivo dei terroristi e la criminalizzazione delle ONG (accuse rivelatesi prive di fondamento), mentre nel frattempo piccole imbarcazioni, gestite da non si sa chi, continuavano indisturbate a sbarcare persone sulle coste italiane. Un Ministro arrogante, minaccioso che non ha però esitato a ricorrere alla tutela dell’immunità parlamentare quando un tribunale ha ravvisato nel suo comportamento una chiara violazione dei diritti fondamentali e delle leggi del mare, nazionali e internazionali.

E’ interessante questo libro perché, partendo dai fatti, mette in evidenza come passo dopo passo è stata corrosa la cultura di solidarietà e il senso di umanità che caratterizza il popolo italiano attraverso l’abuso una  posizione istituzionale, e il potere che a questa posizione è attribuito, per diffondere informazioni devianti e sbagliate (più ONG più morti, arrivano terroristi, taxi del mare), un atteggiamento di sospetto verso chi si dedica ad altri, un sentimento di paura verso coloro che arrivano da situazioni di guerra, di povertà.

Vaifra Palanca

Francesca Mannocchi, Io Khaled vendo uomini e sono innocente, Einaudi stile libero, 2019

Annalisa Camilli, La legge del mare, Rizzoli , 2019

13 ottobre 2019