Nilde Iotti vista con gli occhi di oggi di Tiziana Noce (intervento al Convegno del 20 giugno 2019)

Guardare a Nilde Iotti con gli occhi di oggi per chi si occupa di storia politica delle donne è un compito facile. Se il mondo, il contesto, i principi, il vissuto di Iotti appartengono a un passato assai diverso dal nostro presente, è altrettanto vero che molte delle istanze politiche che Iotti ha affrontato nel corso della sua attività, seppure mutate nelle forme, sono ancora davanti a noi nella sostanza: la costruzione della pace, di una democrazia inclusiva e di una società solidale, la difesa del lavoro, la riduzione delle diseguaglianze, la necessità del dialogo come presidio di civiltà.


Inoltre ad una storica appare chiara l’esistenza di un legame fra le donne del passato e quelle del presente, anzi, di più: appare evidente che senza l’incorporazione nel presente delle parole e delle azioni delle donne del passato le donne del presente sono più deboli e fragili, in balìa di narrazioni e di modelli di femminilità elaborati da chi il femminile lo pensa e lo costruisce in base ai propri bisogni e desideri perché donna non è.  Tutti cresciamo attraverso modelli, anche la pratica politica è frutto di tradizioni, che per millenni si sono costruite quasi esclusivamente al maschile. Ne scriveva già Jane Austen nel 1818:

Quanto alla storia vera e propria, la storia seria e solenne, non riesco a trovarla interessante […]. La leggo un po' per dovere, ma non mi dice niente che non mi irriti o mi annoi. Ad ogni pagina, litigi di papi e imperatori, guerre e pestilenze. Gli uomini in genere sono dei buoni a nulla e le donne, praticamente, non ci sono mai: è una noia terribile.

Al di là dell’ironia Austen segnala l’assenza delle donne dalla ricostruzione storica. Per secoli gli uomini hanno avuto e hanno tuttora numerosi modelli cui ispirarsi per affermarsi nell’arena politica, le donne non possono dire altrettanto. Credo dunque che il merito di istituzioni come la Fondazione Nilde Iotti sia proprio quello di tessere legami fra donne, in altri termini di costruire una tradizione culturale di donne per tenere unita la catena fra le generazioni.

È così infatti che si contrasta quanto si verifica di norma nella storia delle donne, cioè che nelle diverse fasi storiche molte donne attive nello spazio pubblico agiscono senza sapere nulla delle donne che le hanno precedute oppure assumono senza criticarle le rappresentazioni e i giudizi che dei movimenti delle donne del passato danno le ideologie e i partiti di riferimento. Costruire legami non significa creare simbiosi, identificazione. La spendibilità dell’eredità politica di Nilde Iotti è tanto più proficua se c’è la consapevolezza delle differenze e della distanza fra passato e presente, fra Iotti e noi.

Per essere adulti ci si emancipa dai padri e dalle madri, che restano tuttavia un punto di riferimento. Quali esperienze e battaglie di Nilde Iotti ancora oggi sono questioni con cui si deve misurare una donna che voglia intraprendere l’attività politica? Innanzitutto la necessità di gestire identità plurime e spesso confliggenti. Iotti era allo stesso tempo una donna di partito, una donna delle istituzioni e una femminista e già tenere insieme tali dimensioni, specie la donna femminista con le altre due è assai difficile. 

Anche oggi le donne operano dentro partiti e istituzioni creati dalla sedimentazione di un’attività plurisecolare di pensiero e azione calibrata sull’esperienza maschile del vivere. Operano in una democrazia che oggi come ieri proclama diritti universali che spesso di fatto tali non sono, vivono in un procedere storico ciclico, in cui gli arretramenti, le crisi, seguono ai momenti di espansione, le guerre e la paura a fasi di pace e benessere. Ho studiato a lungo l’attività delle donne nei partiti e ho osservato che a prescindere dalle connotazioni ideologiche, con gradazioni che dipendono dall’organizzazione interna, le donne che intendono conciliare l’appartenenza al partito – inteso come strumento idoneo a realizzare nella società il sistema di idee in cui credono - con l’affermazione di visioni dissonanti da quelle dei leader dei loro stessi partiti devono saper condurre un duro lavoro di mediazione, di consapevolezza e mostrare una lucidità intellettuale non comune.

Rischiando, perché per molte militanti, in questi casi, la sconfitta, la “morte politica” come l’ha definita una militante socialista che ho intervistato molti anni fa, è sempre dietro l’angolo.  L’esperienza di Nilde Iotti dimostra che portare avanti il proprio punto di vista è possibile se si hanno determinazione, pazienza, capacità di dialogo e di mediazione e se si trovano alleati, donne e uomini. Molti studi su Iotti ricordano ad esempio quanto le sue posizioni sul divorzio fossero avanzate e non condivise dai dirigenti comunisti; di come abbia dovuto faticare per far accettare il suo punto di vista, ma già prima degli anni Settanta e non su una questione specifica Iotti esprimeva una differente visone di sistema, direi, rispetto al partito e siamo nel 1956: 

[Le donne] costituiscono la base naturale su cui si articola la vita familiare e individuale, ritenuta assai spesso immutabile nella sua sostanza ad eccezione delle condizioni materiali. Da qui deriva la concezione delle donne nel quadro del movimento rivoluzionario, non come forza autonoma, non come soggetto della rivoluzione in nome di una loro particolare sete di giustizia, ma come elementi di riserva e di appoggio alle lotte dei lavoratori.

Noi abbiamo chiesto alle donne la adesione alle nostre lotte, ma senza che in queste trovassero modo di esprimersi i diritti di giustizia delle donne in quanto tali

E ancora nel 1963 ribadiva la critica alla tesi dei partiti marxisti secondo cui la differenza di classe è prioritaria rispetto a quella di genere e che la fine della gerarchia fra le classi avrebbe implicato di necessità la fine della gerarchia fra i sessi. Scriveva infatti di non credere che «la riforma agraria e il maggior potere della classe operaia in fabbrica portino automaticamente l’emancipazione della donna, senza la sua parità e la sua libertà di persona umana autonoma».

Nilde Iotti è stata anche una donna delle istituzioni e non poteva essere diversamente per una persona che ha avuto il suo battesimo politico nell’Assemblea costituente. Il rapporto fra donne e istituzioni investe il rapporto fra politica e potere e anche le istituzioni sono storicamente un luogo del potere maschile. Come donna delle istituzioni Nilde Iotti è per le donne di oggi innanzitutto un simbolo, perché dimostra che le donne possono e sanno stare al livello più alto delle istituzioni e, allo stesso tempo, incarna un particolare modo di stare nelle istituzioni: Iotti è stata un esempio di donna politica che si è messa al servizio delle istituzioni e non ha messo le istituzioni al proprio servizio. 

In questo ha interpretato il ruolo che alle istituzioni spetta in un regime democratico: garantire tutti, incarnare regole eguali per tutti nel rispetto delle differenze di ogni ordine e grado in cui si articola la persona umana. Le istituzioni caratterizzano e al tempo stesso rispecchiano la società, possono essere qualificate in base a come si intende regolare la società. Alla parola Stato sono stati storicamente associati diversi aggettivi, anche opposti: Stato di diritto, etico, di polizia.

Detto in altro modo, sono gli esseri umani a caratterizzare lo Stato e su questo i costituenti sono stati chiari: lo Stato deve essere posto al sevizio della persona. Il tipo di Stato che la Iotti serviva era per lei l’unico in cui avrebbero potuto «esprimersi i diritti di giustizia delle donne in quanto tali» che citavo prima e - per usare sempre parole di Iotti – era uno Stato in cui avrebbero potuto essere messe in atto politiche «di libertà, giustizia e della persona umana». Se osserviamo come Nilde Iotti ha operato nel partito e nelle istituzioni appaiono anche chiari gli elementi che le hanno consentito la conciliazione con il femminismo.

Va precisato subito in che senso Iotti fosse femminista, poiché la stessa Iotti in un’intervista del 1974 afferma: «Io non sono affatto femminista». E si riferiva alle femministe dell’epoca, al movimento femminista degli anni Settanta, ferocemente polemico verso le donne dei partiti e delle istituzioni. Tuttavia Iotti fu femminista nella misura in cui lungo tutta la sua carriera politica lavorò per la parità giuridica delle donne e affinché la società riconoscesse il valore delle donne. E mostrò, prima del femminismo degli anni Settanta, l’evidenza di un assunto di quel femminismo: il personale è politico. 

In maniera limpida, la vicenda privata Iotti - Togliatti mostra come la separazione fra la sfera politica e quella personale sia artificiale per quanto riguarda le implicazioni politiche. La clandestinità e l’ostracismo verso quella unione porta con sé una domanda politica: la legge civile deve essere fondata sulla concezione cattolica del matrimonio? Una donna che fino al 1964 vive come un’ingiustizia quello che le accade nel partito e fuori, in quali campi concentra il suo lavoro politico? In quelli attinenti all’emancipazione femminile, alla soggettivizzazione delle donne. E credo che questo: operare per la soggettivazione delle donne ovvero lavorare affinché tutte le donne siano soggetti capaci di autodeterminazione, titolari di diritti e di libertà e che dentro a questa cornice ciascuna possa vivere a suo modo le differenze che la caratterizzano sia un tratto comune dei femminismi del passato e del presente.

Questo legame fra femministe, fra la prima generazione di militanti repubblicane che hanno preparato il terreno e le femministe degli anni Settanta che hanno attualizzato nel proprio contesto la soggettivizzazione femminile è stato sottolineato proprio da Marisa Rodano [anch’ella relatrice al convegno ndr.] nelle sue memorie e da una storica femminista, Annarita Buttafuoco. Un legame che vale anche se si guarda al rapporto fra Nilde Iotti e le donne del passato.

Iotti andò infatti alla ricerca di modelli e lo fece proprio con lo spirito di una giovane che cerca le antenate non come “madri” ma come simboli, spunti, esempi di intelligenza politica e capacità pur essendo differenti, pur non potendone riproporre alla lettera le posizioni, pur distaccandosene ideologicamente.

Già in uno scritto del 1955 per il decennale del voto, nel ripercorre la storia che porta al decreto del 1945 ricorda che la prima richiesta di estensione del voto alle donne fu del 1863, ricorda che in Italia agì prima del fascismo un movimento di donne per il suffragio e analizza in particolare la politica del PSI in merito; cita Argentina Altobelli, Anna Kuliscioff mentre in un altro scritto del 1961 la catena delle donne si allunga nel passato, va oltre la storia del movimento operaio, fino a comprendere Olympe De Gouges, le femministe inglesi e americane con le lotte suffragiste di fine Ottocento, le italiane Carlotta Clerici, Linda Malnati, Emilia Mariani e Anna Maria Mozzoni.

Nello stesso saggio sul voto evidenzia inoltre l’esistenza di un tenue filo rosso fra il passato e il presente, anche se per lei è la Resistenza antifascista al femminile a costituire il salto di qualità rispetto a quel passato sia per il numero delle donne coinvolte sia per la trasversalità sociale del movimento. Iotti presenta inoltre l’azione delle Costituenti come imprescindibile passaggio normativo affinché le italiane possano aspirare all’eguaglianza e alla giustizia sociale. In particolare - scrive - si devono alle Costituenti:

il pieno riconoscimento dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alle leggi nell’esercizio del diritto di voto, nell’accesso a tutti i pubblici uffici e alle cariche elettive (art. 3-48-51); della uguaglianza morale e giuridica dei coniugi nel matrimonio (art. 29); dei diritti e dei doveri dei genitori nei confronti dei figli, anche se nati fuori del matrimonio, della tutela giuridica e sociale dei figli nati fuori dal matrimonio (art. 30); dell’aiuto alla formazione della famiglia, e della protezione della maternità, della infanzia e della gioventù (art. 31); dei diritti delle donne lavoratrici alla parità di retribuzione per parità di lavoro, della protezione delle lavoratrici madri e dei loro figli (art. 37).

Più avanti nel testo valorizza l’attività quasi invisibile all’esterno delle elette. Non solo delle elette al Parlamento nel 1948 e nel 1953, di cui illustra tutti i progetti di legge presentati per la parità giuridica, per il sostegno al lavoro femminile, per contenere lo sfruttamento delle donne, ma anche delle amministratrici locali, le elette che dal 1946 hanno ricoperto il ruolo di sindache e assessore.  La «conquista del diritto di voto» è stata per Iotti il punto di partenza che ha consentito la maturazione della coscienza civile da parte delle italiane. L’elettorato attivo e passivo ha fatto sì che i diritti delle donne, i problemi della vita quotidiana entrassero – scrive - «nell’arena delle competizioni politiche […] Si vengono così collegando sempre più i problemi della vita familiare e della personalità della donna ai problemi generali del rinnovamento della società italiana».

Ed è evidente l’attualità di queste parole. Iotti aveva chiarissimo il nesso esistente fra condizione delle donne e qualità della democrazia e sottolineava come il voto fosse arrivato senza che il sistema politico neppure intuisse quali profondi problemi la liberazione delle donne dalla loro secolare servitù poneva alla società: di sviluppo della occupazione; e perciò di indirizzo dell’economia; di istruzione e di elevazione culturale e perciò dell’organizzazione della scuola in tutti i suoi gradi; di superamento del contrasto lavoro-famiglia e perciò di diversa organizzazione sociale.

Si tratta cioè per la liberazione delle donne dalla servitù di affrontare il problema del salto qualitativo della società nel campo della libertà, della giustizia, della persona umana. E non è un caso che quando quello Stato che Iotti serve, lo Stato democratico, è sotto attacco, quando si palesa il progetto eversivo della Loggia P2 è a un’altra donna al servizio delle istituzioni nonostante sia di colore politico opposto, Tina Anselmi, che affida la presidenza della Commissione parlamentare d’inchiesta.

Concludo con una considerazione e un invito. Una considerazione che Iotti aveva tratto da uno scritto di Anna Maria Mozzoni, la più radicale fra le femministe dell’epoca nel rivendicare l’eguaglianza fra uomini e donne: «Le donne non avranno altri diritti di quelli che si saranno conquistati, non godranno di altra libertà di quella che si saranno difesa giorno per giorno ed in ogni momento».

E un invito: una proficua attualizzazione di Nilde Iotti implicherebbe un contatto, un avvicinamento alle giovani donne nate oggi, nel XXI secolo, e questo forse è proprio il compito che noi “donne di mezzo” dovremmo svolgere.

Tiziana Noce

14 luglio 2019