Adele Bei

di Valeria Fedeli


"Non pensate alla mia famiglia, qualcuno provvederà; pensate invece ai milioni di bambini che, per colpa vostra, stanno soffrendo la fame in Italia".
Nel ripercorrere la storia di Adele Bei questa frase mi ha particolarmente colpito. Viene pronunciata davanti ai giudici fascisti, che la esortano a denunciare i suoi compagni facendo leva sul pensiero dei figli lontani in Francia. I giudici, i fascisti, sono nel solco del più classico e discriminatorio stereotipo e pregiudizio della donna, tantopiù se mamma: sensibile, emotiva, debole. Adele è forte, ribadisce quello in cui crede, sfida gli stereotipi.
È probabilmente anche per questa risposta che la giudicano "socialmente pericolosissima" e la condannano a 18 anni. Era il 1933, Adele aveva 29 anni. Trascorse i successivi otto in prigione e poi due in confino a Ventotene, dove conobbe e condivise valutazioni e prospettive con Di Vittorio, Terracini, Scoccimarro, Secchia.
Adele aveva incontrato i comunisti grazie a Domenico Ciufoli, tra i fondatori del Partito con Gramsci, Bordiga, e gli stessi Secchia e Terracini.
Bei e Ciufoli si erano sposati nel 1922, in un incontro di affetti e coscienze politiche. E l'impegno politico unì sempre la coppia, che già alle fine del 1923 dovette fuggire via dall'Italia, vivendo per anni tra Belgio, Lussemburgo e Francia. Un lungo esilio durante il quale nacquero i figli Ferrero e Angela. In quegli anni Adele continuò a tornare in Italia, per avere contatti con i compagni rimasti nel Paese e per la distribuzione di materiali antifascisti. E fu proprio durante uno di questi viaggi che fu arrestata.
Adele era cresciuta in una famiglia semplice, terza di 11 figli, papà boscaiolo, a Cantiano, un piccolo paese nelle montagne marchigiane, al confine con l'Umbria. La sua, però, era una famiglia dove la politica era di casa, e crebbe quindi in mezzo a speranze, passioni, consapevolezza delle disuguaglianze da superare, voglia di cambiare le cose.
L'incontro con Ciufoli fu quello tra due persone che si sentivano parte di una generazione che seppe assumersi la responsabilità di lottare per giustizia e democrazia e liberare l'Italia. Donne e uomini che, ad un certo punto della vita, hanno sentito, nella testa e nel cuore, che c'era qualcosa di importante per cui battersi. Hanno condiviso un ideale, un impegno, una speranza. E hanno deciso di rischiare la propria vita per realizzarla. Durante la guerra, in carcere, al confino o all'estero, si formava la classe dirigente che avrebbe poi guidato la ricostruzione, l'affermazione della democrazia, la nascita della Costituzione, la riorganizzazioni dei partiti e del sindacato.
Dopo l'arresto e i dieci anni di detenzione, nel 1943, con la caduta del fascismo, Adele Bei tornò libera. Tornò a Roma, sfuggì ad un nuovo arresto, collaborò attivamente alla resistenza.
Partecipò all'organizzazione delle donne romane, con Laura Lombardo Radice, Marcella Lapiccirella, Marisa Rodano, Carla Capponi, e alla nascita dei Gruppi di difesa della donna, che coinvolgevano tante giovanissime che per la prima volta scoprivano l'impegno politico e la lotta per i propri ideali.
Di queste antifasciste più giovani ha scritto Miriam Mafai in Pane Nero: "tra le difficoltà e le tensioni della vita quotidiana ognuna di loro- anzi potrei dire ognuna di noi- dovette imparare in quegli anni a decidere da sola, senza l'aiuto né la tutela di padri, mariti, fidanzati: ognuna di noi divenne, nel pericolo e nella miseria, più padrona di se stessa."
Adele fu guida per la generazione più giovane. Dimostrando sempre umanità, piena coscienza degli obiettivi per cui lottare, capacità aggregative e organizzative.
Dal 1944 il Partito inizia a mandarla in altri territori, soprattutto al Sud. In provincia di Catanzaro riuscì a "mobilitare i compagni per appoggiare il mio lavoro" e a portare le iscritte da 15 a 60, nonostante, come scrisse lei stessa, "vi sia qui grande incomprensione per il lavoro femminile".
Subito dopo la guerra Adele diventa responsabile della Commissione femminile nazionale della CGIL e proprio dalla Cgil viene nominata alla Consulta nazionale, la prima assemblea provvisoria che definì le regole di elezione della Costituente.
Il 2 giugno 1946 è tra le 21 elette all'Assemblea, tra le 21 madri costituenti la cui presenza ha determinato quella preziosa collaborazione alla scrittura e approvazione della Carta che ha permesso che l'uguaglianza e il rispetto delle differenze tra donne e uomini fossero posti a valori fondativi della Repubblica.
Contribuendo in modo determinante a scrivere gli articoli più moderni e di principio della Costituzione, tra cui gli articoli 3, 29, 31, 37, 48 e 51, le donne poterono finalmente condividere la responsabilità politica nelle istituzioni e portare il loro fondamentale contributo alla crescita politica e sociale del Paese, aprendo spazi nuovi di civiltà, via via riempiti con leggi che hanno rimosso le discriminazioni e dato opportunità e diritti. Ancora oggi quegli articoli della Carta, così potenti e innovativi, sono guida per le battaglie verso l'uguaglianza sostanziale e la piena cittadinanza di tutte e tutti.
Nel 1948 Adele Bei diventa senatrice del Pci, nel 1953 e nel 1958 è invece eletta alla Camera. Si occupa soprattutto delle condizioni del mondo del lavoro, della vita in fabbrica, delle assicurazioni e della previdenza dei lavoratori e delle loro famiglie.
Dal 1952 al 1960 è alla guida del sindacato delle tabacchine, esperienza che visse con entusiasmo, passione, capacità di essere vicina alle persone e di costruire una vera rappresentanza: ideale, concreta, determinata.
L'esempio di Adele Bei come donna nel sindacato ha dato coraggio a molte altre donne, sia tra coloro che l'hanno conosciuta ed hanno lavorato con lei, sia nelle successive generazioni di dirigenti e militanti sindacali.
Quando Bei arrivò alla guida del sindacato le difficoltà delle lavoratrici erano molto forti, con condizioni salariali durissime e un contratto nazionale spesso non applicato. Inoltre la struttura organizzativa era rimasta carente e il sindacato così era ancora assente da molti territori. Bei portò entusiasmo e spirito d'iniziativa, stimolando anche i compagni ad un lavoro più attento e capillare: "Dove è possibile entrare nelle fabbriche si entra, dove non è possibile si tenta diversamente. In tutti gli stabilimenti del tabacco esistono vecchie dirigenti sindacali iscritte ai partiti di sinistra. Uno dei compiti è proprio quello di ricercare queste donne, avvicinarle al di fuori delle fabbriche dove esse lavorano, istruirle e creare l'organizzazione dentro la fabbrica (...). Il lavoro sarà certamente più difficile ma darà buoni risultati".
Cambiò in quegli anni anche il nome dell'organizzazione, che divenne "Sindacato nazionale tabacchine". Parlare di "Sindacato Nazionale dei Lavoratori delle foglie di tabacco", come si era fatto fino a quel momento, infatti, non rispondeva alla reale composizione del sindacato, né in termini di sesso né di rispetto per il lavoro operaio di una parte consistente delle aderenti.
Parte del lavoro di Adele Bei fu proprio l'impegno per far conoscere la categoria all'opinione pubblica, raccontando la storia delle lotte del settore e i problemi che doveva affrontare ("per tutti coloro che del tabacco conoscono solo il buon gusto della sigaretta è difficile avere una chiara idea delle condizioni di vita e di lavoro delle tabacchine", scriverà in una lettera ad un quotidiano).
La sua guida del sindacato si caratterizzò per una forte impronta di responsabilità personale e di autonomia, che valse ad Adele qualche malumore all'interno del sindacato, ma le permise di guadagnarsi stima, fiducia e affetto tra le lavoratrici (Giglia Tedesco ha ricordato una volta che Adele ripeteva spesso alle tabacchine "Non preoccupatevi, perché Adele Bei sarà sempre al vostro fianco"), che da lei si sentirono supportate nel percorso di acquisizione di consapevolezza del proprio valore come persone e come lavoratrici nel luogo di lavoro.
Dopo la fine dell'esperienza sindacale e parlamentare continuò l'impegno per l'uguaglianza e la giustizia, in particolare sostenendo le lavoratrici. Si batté poi per il miglioramento della condizione carceraria femminile, tema vivo ancora oggi. E ha saputo, Adele, anticipare i tempi anche sul linguaggio, non solo facendosi chiamare "senatrice", ma parlando di "lavoratrici" in un momento in cui non lo faceva nessuno.
Longo e Berlinguer, alla sua morte, scrissero in un telegramma che con lei moriva una delle donne più "intrepide del nostro tempo", una "apprezzata dirigente sindacale sempre impegnata a difesa delle lavoratrici italiane. Con l'esempio di compagne come Adele Bei i lavoratori italiani hanno accresciuto la loro forza e la loro combattività".
Del tratto umano di Adele, della sua naturale giovialità solidale, della forza d'animo che riusciva a trasmettere, raccontano in tanti. Giovanna Marturano ha descritto il suo arrivo a Ventotene: "Mi aspettavo una donna magra, triste e pallida e vidi invece arrivare, quasi di corsa, una colorita pacioccona con gli occhi scintillanti e un gran sorriso sulle labbra".
E di Ventotene parla anche Umberto Terracini, in una lettera inviata alla figlia di Adele dopo la sua morte, nel 1976: "La comune milizia ci aveva offerto moltissime occasioni di incontro. Fra di esse la maggiore per tempo e luogo fu l'assegnazione al confino dove vivemmo insieme traversie aspre, ma anche soddisfazioni profonde della coscienza e dell'intelletto. Non dimenticherò mai come Adele si prodigò in quegli anni per darci assistenza preziosa nella quotidiana necessità domestica che ci assaliva. Penso che non vi fu a Ventotene compagno che non le abbia dato una camicia da rattoppare o una calza da rammendare. Eppoi con il suo carattere gaio e coraggioso, col suo sorriso sereno li aiutò tutti a resistere nei momenti più tristi".
Ma c'è anche un altro episodio, che la stessa Adele ha raccontato, che esprime quanto fosse determinata, appassionata, generosa. Dopo la Liberazione di Roma decide di andare a piedi fino al rifugio dei combattenti del monte Tancia: "Sono venuta soltanto per vedere se state bene. Non eravamo tranquille, noi donne di Roma. Sono qui per assicurarmi che nulla vi manca quassù del necessario".
Le motivazioni con cui le fu assegnata la croce di guerra al valor militare, insieme al grado di capitano riconoscono tutte le sue qualità: "Animata dai più puri sentimenti di giustizia e di libertà, fin dall'inizio si distingueva per il suo spirito intrepido e per la capacità organizzativa. Nel suo compito di dirigente delle formazioni femminili fu valido ausilio ai combattenti, fiancheggiandoli efficacemente nella lotta contro l'oppressione ed accorrendo personalmente là ove fosse necessaria la sua presenza incitatrice senza badare a rischi e pericoli".
Adele Bei è davvero un bellissimo esempio di donna della politica. La sua storia, le sue scelte, i suoi comportamenti, il suo linguaggio, la sua capacità di sfidare stereotipi, pregiudizi e abitudini consolidate e di anticipare i tempi, devono essere preziosa ispirazione anche per noi. Per chi ha compiti politici, di rappresentanza o istituzionali. E per tutte le ragazze e i ragazzi che hanno a cuore il futuro di tutte e tutti.

18 settembre 2016