Pensando al 25 aprile. Il discorso di Teresa Mattei all'Assemblea Costituente

"Questo basterebbe, onorevoli colleghi, a dare un preminente carattere antifascista a tutta la nostra Costituzione"


Assemblea Costituente – Seduta Pomerdiana del 18 marzo 1947
Presidenza del Presidente Terracini
Ordine del giorno – Proseguimento della discussione generale delle “Disposizioni generali” del progetto di Costituzione della Repubblica Italiana

Presidente Terracini. È iscritta a parlare la onorevole Mattei Teresa. Ne ha facoltà.

Mattei Teresa. Onorevoli colleghi, parlare dopo il decano, dopo i più anziani di questa Assemblea è un compito un po’ difficile per una giovane donna. Ma, forse, uno dei pochi vantaggi che io presenterò, sarà quello di essere breve, anche perché mi sarebbe estremamente difficile diffondermi troppo in ricordi di gioventù. (Si ride).

Vorrei solo sottolineare in questa Assemblea qualcosa di nuovo che sta accadendo nel nostro Paese. Non a caso, fra le più solenni dichiarazioni che rientrano nei 7 articoli di queste disposizioni generali, accanto alla formula che delinea il volto nuovo, fatto di democrazia, di lavoro, di progresso sociale, della nostra Repubblica, accanto alla solenne affermazione della nostra volontà di pace e di collaborazione internazionale, accanto alla riaffermata dignità della persona umana, trova posto, nell’articolo 7, la non meno solenne e necessaria affermazione della completa eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di condizioni sociali, di opinioni religiose e politiche. Questo basterebbe, onorevoli colleghi, a dare un preminente carattere antifascista a tutta la nostra Costituzione, perché proprio in queste fondamentali cose il fascismo ha tradito l’Italia, togliendo all’Italia il suo carattere di Paese del lavoro e dei lavoratori, togliendo ai lavoratori le loro libertà, conducendo una politica di guerra, una politica di odio verso gli altri Paesi, facendo una politica che sopprimeva ogni possibilità della persona umana di veder rispettate le proprie libertà, la propria dignità, facendo in modo di togliere la possibilità alle categorie più oppresse, più diseredate del nostro Paese, di affacciarsi alla vita sociale, alla vita nazionale, e togliendo quindi anche alle donne italiane la possibilità di contribuire fattivamente alla costituzione di una società migliore, di una società che si avanzasse sulla strada del progresso, sulla strada della giustizia sociale. Noi salutiamo quindi con speranza e con fiducia la figura di donna che nasce dalla solenne affermazione costituzionale.

Nasce e viene finalmente riconosciuta nella sua nuova dignità, nella conquistata pienezza dei suoi diritti, questa figura di donna italiana finalmente cittadina della nostra Repubblica. Ancora poche Costituzioni nel mondo riconoscono così esplicitamente alla donna la raggiunta affermazione dei suoi pieni diritti. Le donne italiane lo sanno e sono fiere di questo passo sulla via dell’emancipazione femminile e insieme dell’intero progresso civile e sociale. È, questa conquista, il risultato di una lunga e faticosa lotta di interi decenni. Il fascismo, togliendo libertà e diritti agli uomini del nostro Paese, soffocò, proprio sul nascere, questa richiesta femminile fondamentale, ma la storia e la forza intima della democrazia ancora una volta hanno compiuto un atto di giustizia verso i diseredati e gli oppressi. In una società che da lungo tempo ormai ha imposto alla donna la parità dei doveri, che non le ha risparmiato nessuna durezza nella lotta per il pane, nella lotta per la vita e per il lavoro, in una società che ha fatto conoscere alla donna tutti quei pesi di responsabilità e di sofferenza prima riservati normalmente solo all’uomo, che non ha risparmiato alla donna nemmeno l’atroce prova della guerra guerreggiata nella sua casa, contro i suoi stessi piccoli e l’ha spinta a partecipare non più inerme alla lotta, salutiamo finalmente come un riconoscimento meritato e giusto l’affermazione della completa parità dei nostri diritti.

La lotta per la conquista della parità di questi diritti, condotta in questi anni dalle donne italiane, si differenzia nettamente dalle lotte passate, dai movimenti a carattere femminista e a base spiccatamente individualista. Questo in Italia, dal più al meno, tutti lo hanno compreso. Hanno compreso come la nostra esigenza di entrare nella vita nazionale, di entrare in ogni campo di attività che sia fattivo di bene per il nostro Paese, non è l’esigenza di affermare la nostra personalità contrapponendola alla personalità maschile, facendo il solito femminismo che alcuni decenni fa aveva incominciato a muoversi nei vari Paesi d’Europa e del mondo. Noi non vogliamo che le nostre donne si mascolinizzino, noi non vogliamo che le donne italiane aspirino ad un’assurda identità con l’uomo; vogliamo semplicemente che esse abbiano la possibilità di espandere tutte le loro forze, tutte le loro energie, tutta la loro volontà di bene nella ricostruzione democratica del nostro Paese. Per ciò riteniamo che il concetto informatore della lotta che abbiamo condotta per raggiungere la parità dei diritti, debba stare a base della nostra nuova Costituzione, rafforzarla, darle un orientamento sempre più sicuro.

È nostro convincimento, che, confortato da un attento esame storico, può divenire certezza, che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile; e per emancipazione noi non intendiamo già solamente togliere barriere al libero sviluppo di singole personalità femminili, ma intendiamo un effettivo progresso e una concreta liberazione per tutte le masse femminili e non solamente nel campo giuridico, ma non meno ancora nella vita economica, sociale e politica del Paese.

Vorremmo a questo proposito far notare che ad un attento esame del nostro progetto di Costituzione risulta evidente che là dove si riconoscono alle donne i loro nuovi diritti parimenti ne escono vantaggio e sicurezza nuova all’istituto familiare, alla fondamentale funzione della maternità e alla piena realizzazione dei diritti nel campo del lavoro.

Ed egualmente, là dove si sancisce ogni più importante e nuova conquista sociale è sempre compresa e spesso in forma esplicita una conquista femminile. Non vi può essere oggi infatti, a nostro avviso, un solo passo sulla via della democrazia, che non voglia essere solo formale ma sostanziale, non vi può essere un solo passo sulla via del progresso civile e sociale che non possa e non debba essere compiuto dalla donna insieme all’uomo, se si voglia veramente che la conquista affermata nella Carta costituzionale divenga stabile realtà per la vita e per il migliore avvenire d’Italia.

Ma una cosa ancora noi affermiamo qui: il riconoscimento della raggiunta parità esiste per ora negli articoli della nuova Costituzione. Questo è un buon punto di partenza per le donne italiane, ma non certo un punto di arrivo. Guai se considerassimo questo un punto di arrivo, un approdo. Può questo riconoscimento costituzionale esser preso a conforto e a garanzia dalle donne italiane, le quali devono chiedere e ottenere che via via siano completamente realizzate e pienamente accettate nella vita e nel costume nazionale le loro conquiste.

Vorrei fare osservare, onorevoli colleghi, che nessun regime per principio, nei tempi moderni almeno, osa pronunziarsi contro i diritti femminili in termini costituzionali.

Ricordiamo che vi fu un momento, circa 20 anni fa, in cui persino il fascismo si trovò in forse se concedere o no alla donna per lo meno l’elettorato attivo nel campo amministrativo. E passi in quel momento furono compiuti (ricordiamo qui il convegno che allora avvenne a Firenze organizzato dalle Associazioni femminili di allora) perché questa conquista fosse raggiunta. Questo diritto, lo sappiamo bene, fu subito dopo negato dal fascismo non solo alle donne che lo chiedevano, ma tolto anche agli uomini che già ne avevano goduto. Questo però ci indica chiaramente come ogni sistema politico moderno, anche il più reazionario, sia guardingo nel negare alla donna, in quanto donna, il godimento almeno formale dei suoi pieni diritti di cittadina.

Perciò noi affermiamo oggi che, pur riconoscendo come una grande conquista la dichiarazione costituzionale, questa non ci basta. Le donne italiane desiderano qualche cosa di più, qualche cosa di più esplicito e concreto che le aiuti a muovere i primi passi verso la parità di fatto, in ogni sfera, economica, politica e sociale, della vita nazionale.

Non dimentichiamo che secoli e secoli di arretratezza, di oscurantismo, di superstizione, di tradizione reazionaria, pesano sulle spalle delle lavoratrici italiane; se la Repubblica vuole che più agevolmente e prestamente queste donne collaborino — nella pienezza delle proprie facoltà e nel completo sviluppo delle proprie possibilità — alla costruzione di una società nuova e più giusta, è suo compito far sì che tutti gli ostacoli siano rimossi dal loro cammino, e che esse trovino al massimo facilitata ed aperta almeno la via solenne del diritto, perché molto ancora avranno da lottare per rimuovere e superare gli ostacoli creati dal costume, dalla tradizione, dalla mentalità corrente del nostro Paese.

Per questo noi chiediamo che nessuna ambiguità sussista, in nessun articolo e in nessuna parola della Carta costituzionale, che sia facile appiglio a chi volesse ancora impedire e frenare alle donne questo cammino liberatore.

È purtroppo ancora radicata nella mentalità corrente una sottovalutazione della donna, fatta un po’ di disprezzo e un po’ di compatimento, che ha ostacolato fin qui grandemente o ha addirittura vietato l’apporto pieno delle energie e delle capacità femminili in numerosi campi della vita nazionale.

Occorre che questo ostacolo sia superato. L’articolo 7 ci aiuta, ma esso deve essere accompagnato da una profonda modificazione della mentalità corrente, in ogni sfera, in ogni campo della vita italiana.

Ad esempio — voglio portare questo esempio perché è tipico nel nostro Paese — anche qui, nella più alta Assemblea rappresentativa d’Italia, nell’Assemblea che dovrebbe raccogliere gli uomini più evoluti, gli uomini che più degnamente possono rappresentare le migliori tradizioni e il progresso d’Italia, alcuni giorni fa, noi deputate — noi che qui rappresentiamo tutte le donne italiane, le donne che attendono dal lavoro dell’Assemblea miglioramenti e passi in avanti per il loro Paese e per tutti i cittadini — abbiamo ancora una volta notato un’espressione comune e per noi dolorosa di dispregio che un onorevole Deputato, che sta negli ultimi settori della destra, ha usato, con la solita aria di disprezzo. Egli ha detto precisamente: «Sono di genere femminile e quindi sempre infide». (Ilarità).

È questo un malvezzo che penetra ovunque, che vive nel nostro linguaggio ormai come un luogo comune, che collabora a deprimere la donna, relegandola sistematicamente in una sfera di vita inferiore e semi-animale.

Onorevoli colleghi, anche qui dunque — e questo purtroppo non è il solo esempio — fa capolino quella diffusa e negativa mentalità. Non solo contro le espressioni del linguaggio, ma noi dobbiamo protestare qui pur senza invadere il campo di prossime discussioni, e per dare un esempio di quanto sia radicata questa mentalità deteriore, contro il malvezzo — e speriamo che sia solo malvezzo — che ha portato perfino il Comitato di coordinamento e di redazione della Commissione per la Costituzione ad includere, nonostante che la seconda Sottocommissione non si fosse pronunciata al riguardo, una forte limitazione per le donne nel campo della Magistratura.

L’articolo 98 suona infatti così: «I magistrati sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su designazione del Consiglio Superiore della Magistratura, in base a concorso seguito da tirocinio. Possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario».

Anche ammesso, come speriamo, che il futuro ordinamento giudiziario sia ben migliore di quello vigente, noi non possiamo ammettere che alle donne, in quanto tali, rimangano chiuse porte che sono invece aperte agli uomini. (Commenti).

Sia tolto ogni senso di limitazione e sia anzi affermato, in forma esplicita e piena, il diritto delle donne ad accedere, in libero agone, ad ogni grado della Magistratura, come di ogni altra carriera. Ma vi è di più — e questo dico per illuminare l’Assemblea sulla necessità di aiutare le donne italiane nella realizzazione dei loro diritti e nella difesa delle loro libertà —: occorre che nel nostro Paese non siano più ammesse disposizioni pubbliche o private che limitino la libertà umana e in particolare femminile, come la disposizione, ad esempio, che tuttora mi consta esistere e che vieta a determinate categorie di infermiere di contrarre matrimonio, pena la perdita del lavoro. Vi sono in Italia, fra queste particolari categorie, innumerevoli casi di lavoratrici costrette ad una vita familiare irregolare, numerose madri di figli illegittimi, solo perché, per non perdere il pane, devono rinunciare a contrarre regolare matrimonio. È questa una disumana ed immorale misura limitatrice della libertà, della dignità, della personalità umana di lavoratrici incolpevoli e dei loro incolpevoli figli.

Per questa ragione io torno a proporre che sia migliorata la forma del secondo comma dell’articolo 7 nel seguente modo:

«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che limitano «di fatto» — noi vogliamo che sia aggiunto — la libertà e l’eguaglianza degli individui e impediscono il completo sviluppo della persona umana».

Voi direte che questo è un pleonasmo. Noi però riteniamo che occorra specificare «di fatto». Vogliamo qui ricordare quello che avviene in altri paesi democratici. Si dice che l’Inghilterra sia un paese democratico: ebbene, nella democratica Inghilterra le donne hanno conquistato formalmente il riconoscimento della parità assoluta dei diritti circa trent’anni fa, nel 1919. Ma ancora oggi in questa libera e democratica Inghilterra, dove le donne dovrebbero godere di tutti i diritti come gli uomini, poco si è fatto, perché ci si è limitati a sancire formalmente una conquista, che poi nessuno ha voluto realizzare nella pratica. E là, dopo trenta anni di vita democratica o di possibilità di vita democratica per le donne, queste non hanno potuto accedere a tutti i posti che loro spettavano. E noi vediamo che nella stessa Inghilterra è proibito, per esempio, di sposarsi alle maestre, alle insegnanti di alcune categorie. Orbene, noi riteniamo che questo esempio dell’Inghilterra possa servire per noi, che valga come insegnamento, valga a chiarire che quelle conquiste che noi donne facciamo nella vita nazionale — le conquiste giuridiche — non possono essere realizzate pienamente nella vita, se non sono accompagnate da altre conquiste, da conquiste di carattere sociale, economico, se non sono accompagnate, cioè, da una completa legislazione in proposito.

Onorevoli colleghi, se osserviamo da vicino questo progetto di Costituzione, malgrado il pessimismo più o meno artificioso con cui lo si critica e deplora da parte dei gruppi che rappresentano il passato e gli interessi della conservazione, possiamo affermare che in esso è uno slancio verso il progresso, verso la giustizia, verso la pratica attuazione di una società più umana, più giusta, migliore dell’attuale.

Siamo convinti che questo slancio avrebbe potuto essere più agile, più libero, che questa attuazione avrebbe potuto farsi anche più rapidamente.

Ma già in questa forma molto si potrà realizzare, ne siamo sinceramente convinte, se i grandi gruppi politici che rappresentano le masse lavoratrici collaboreranno alla traduzione fedele nelle leggi, nella vita e nel costume nazionale dei principî che nella Costituzione sono affermati.

Se cioè esiste realmente da parte di ognuno di questi gruppi la buona fede e la volontà realizzatrice, potremo con questa Costituzione raggiungere più rapidamente una forma di società migliore, che cancelli definitivamente le tracce, le rovine, i segni di oppressione del fascismo, che ne distrugga nel profondo le cause.

E se vi è questa buona fede, come noi desideriamo vi sia, allora dobbiamo realmente vedere in tutti i rappresentanti delle lavoratrici e dei lavoratori la stessa volontà, nella forma più chiara, più esplicita, più fattiva, di aiutare le donne italiane ad essere cittadine coscienti.

Mazzini, e tutti i nostri grandi che hanno pensato ed operato per l’avvento nel nostro Paese della Repubblica, ci hanno insegnato che la pietra angolare della Repubblica, ciò che le dà vita e significato, è la sovranità popolare.

Spetta a tutti noi, e lo afferma anche il Presidente della Commissione per la Costituzione nella sua relazione introduttiva, di partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica per rendere effettiva e piena questa sovranità popolare. Ma, perché questo accada veramente, occorre che accanto ai cittadini sorgano, si formino, lavorino le cittadine; fatte mature e coscienti al pieno adempimento di tutti i loro doveri, da quelli familiari ai civici, dal normativo ed educatore godimento dei loro pieni diritti.

Aiutateci tutti a sciogliere veramente e completamente tutti i legami che ancora avvincono le mani delle nostre donne e avrete nuove braccia, liberamente operose per la ricostruzione d’Italia, per la sicura edificazione della Repubblica italiana dei lavoratori. (Vivissimi applausi a sinistra Molte congratulazioni).

25 aprile 2024