Nadeesha Uyangoda, “L’unica persona nera nella stanza”, recensione di Vaifra Palanca

Nadeesha Uyangoda è una scrittrice giornalista free lance nata in Sri Lanka vissuta in Italia dall’età di 6 anni. E’ italiana, si sente italiana, nera, come tanti altri figli di immigrati, a disagio quando gli altri la identificano in primo luogo per il colore della pelle e un lontano luogo di provenienza.


Il libro di Nadeesha Uyangoda, L’unica persona nera nella stanza, è una lunga riflessione in parte biografica, in parte basata su risultati di ricerche e studi accademici, in primo luogo sulla difficoltà delle persone appartenenti alla seconda e terza generazione della popolazione immigrata, ad affermare la propria dignità di persone con diritti, doveri e pari dignità. In secondo luogo sulla resistenza al cambiamento della cultura dominante, forte dei suoi pregiudizi e delle sue fittizie certezze, che neppure di fronte all’evidenza riesce ad adeguarsi ad una realtà diversificata, plurietnica, pluriculturale, plurilingue e plurireligiosa.

La “sottile linea del colore” (W.E.B. Du Bois), è il filo conduttore, la chiave di lettura, che lega le diverse parti del libro, dalla percezione della propria identità (che significa essere nero, che significa essere italiano, e italiano-nero), alla instaurazione di rapporti personali e di relazioni professionali, dall’analisi di fatti di cronaca (es. concorsi di bellezza all’interno delle comunità, caso Traini), all’approfondimento di scelte politiche e di provvedimenti giuridici. Un utile lettura per guardare alle persone e ai fatti con gli occhi degli altri, per destrutturare preconcetti, convinzioni ed anche pregiudizi.

L’autrice parla dell’Italia di oggi e di tanti italiani figli di immigrati che dell’esperienza migratoria dei genitori conoscono e ricordano la fatica, la determinazione, i sogni degli inizi di una nuova vita che ha consentito a loro di essere oggi protagonisti nella società italiana. Sono molti e determinati. Hanno una profonda conoscenza della lingua italiana oltre che di altre lingue, hanno conseguito studi anche accademici, hanno sperimentato successi o insuccessi, come tutti, nella vita privata e nella professione.

Eppure si scontrano sempre con una certa resistenza ad essere considerati per quello che sono, per quello che pensano e fanno. E ciò è ancora più vero se si tratta di persone con la pelle nera, non importa se nate in Italia, italiane per l’anagrafe o per cultura o senso di appartenenza. Scorrendo il libro si vede come questo sentimento è presente all’interno di diverse comunità e ha dato origine a numerose organizzazioni e associazioni, che hanno fatto dell’affermazione della propria identità, dell’orgoglio delle proprie radici e della forza dei propri sogni la bandiera dell’impegno per l’inclusione e la partecipazione alla vita pubblica.

Il titolo del libro “L’unica persona nera nella stanza” rende bene il senso di estraneità, di solitudine, di esclusione che provano le persone appartenenti a minoranze “visibili” in una realtà convintamente bianca. Parla di razzismo Nadeesha Uyangoda, che definisce “un accumulo di comportamenti, storicamente istituzionalizzati o abituali, che portano beneficio ai bianchi ai danni delle persone di colore” (pag. 139).

Un razzismo a volte inconsapevole, strisciante che pervade la cultura dominante. Si manifesta attraverso osservazioni e domande che vogliono essere di cortesia, (come parli bene l’italiano, quanto ti manca il tuo paese, ecc.) ma, dice l’autrice, “la mia pelle è un filtro sufficiente per scorgerlo” (pag. 139).

Ma anche di un razzismo sistematico, strutturale dei media e di situazioni pubbliche, che relega le persone con la pelle scura ad una condizione di marginalità. Cita, ad esempio, la partecipazione di rappresentanti del mondo dell’immigrazione, unica persona nera nella stanza, a trasmissioni che parlano di immigrazione, razzismo, convivenza, in quanto oggetto di studio, testimoni diretti, all’insegna del “politicamente corretto”, mentre altri parlano del fenomeno. Raramente persone di origine straniera vengono invitate a parlare di argomenti sui quali hanno competenze specifiche.

Parla inoltre di razzismo istituzionale. Fa notare infatti come alcuni comportamenti degli organismi pubblici e un certo linguaggio della politica, legittimino e rafforzino atteggiamenti discriminatori, fomentino diffidenza e paura nei confronti del “diverso”. Gli esempi analizzati sono numerosi: l’irrilevanza attribuita ai tempi di attesa di pratiche amministrative, spesso determinanti delle condizioni di vita delle persone; l’associare immigrazione a criminalità, disagio, paura; le vicissitudini che impediscono una modifica della legge sulla cittadinanza volta a facilitarne l’accesso da parte di persone nate e vissute in Italia.

La chiave di lettura del libro mi è risultata utile per interpretare l’attualità, Festival di Sanremo. Lorena Cesarini mi è sembrata “L’unica persona nera nella stanza” sul palco dell’Ariston. Lei, attrice nera, orgogliosa del colore della sua pelle, che dice di non aver mai subito atti razzisti, ha letto un brano sul razzismo, con emozione e lacrime, mettendo a nudo i suoi sentimenti, la sua fragilità, immolandosi come vittima se pur per una nobile causa. Sarebbe stato invece un forte messaggio di inclusione semplicemente aver lasciato a Lorena Cesarini il palco, come a tutti gli altri artisti, per farle esprimere il suo talento e la sua bellezza.

“Nessuno dovrebbe sentirsi costretto a fare attivismo perché italiano e nero, esserlo è già faticoso” scrive Nadeesha Uyangoda in proposito (pag. 62). Il razzismo si combatte insieme, “la responsabilità delle risposte è di tutti: io non ho la soluzione in tasca, è un impegno che spetta alla comunità” (pag. 93).

Vaifra Palanca

07 febbraio 2022