“Il Dopo”, il virus che ci ha costretto a cambiare mappa mentale, recensione di Grazia Labate

E' il titolo dell'ultimo libro di Ilaria Capua. Secondo la scienziata la comparsa di questo coronavirus (Sars-CoV-2) si può considerare come uno “stress test” in grado di misurare la fragilità del nostro sistema. La vita cambia e ci cambia. Non siamo staticamente sempre le stesse persone.


Chi è Ilaria Capua? Virologa e ricercatrice, è stata la prima ad aver caratterizzato il ceppo africano H5N1 dell’influenza aviaria. Paladina convinta della scienza “open source”, nel 2007 è stata inserita da Scientific American fra i 50 scienziati migliori al mondo.

Ha scritto: Idee per diventare veterinario (Zanichelli 2008), I virus non aspettano (Marsilio 2012) e L’Abbecedario di Montecitorio (in Edibus 2016) Salute circolare. Una rivoluzione necessaria, Egea 2019). Nel 2013 fu eletta Deputato con Scelta Civica, carica che decise di lasciare nel 2016. Attualmente dirige lo One Health Center of Excellence dell’università della Florida, un prestigioso centro di ricerca. Proprio al prossimo futuro è dedicato il suo ultimo libro (Il dopo, ed. Mondadori) uscito da pochi giorni.

Secondo la scienziata la comparsa di questo coronavirus (Sars-CoV-2) si può considerare come uno “stress test” in grado di misurare la fragilità del nostro sistema. La vita cambia e ci cambia. Non siamo staticamente sempre le stesse persone.

Prima e dopo una nascita, un lutto, un evento significativo cambiamo a volte con tracce profonde a volte meno.
È come se fossimo in una jeep, che affronta intemperie, guadando fiumi, si insabbia, rischia di rimanere bloccata dal fango. Poi la jeep riparte, ma quando lo fa non è più la stessa automobile. Quando noi ripartiamo, non siamo più le stesse persone.

Le pandemie sono eventi catastrofici, ma sono anche degli aggiustatori, dei rimodellatori sociali: comunque offrono lo spazio e la opportunità per cambiare e far arrivare il nuovo.
Il «nuovo» tanto decantato, agognato, e tanto spaventoso al contempo è il futuro al quale necessariamente stiamo andando incontro. Rimpiangere, resistere è inutile. Dobbiamo acquisire un nuovo atteggiamento mentale.
Uno dei motti di Ilaria Capua è «Every cloud has a silver lining»: ogni nuvola ha una cornice d’argento.
Anche la pandemia.

All’inizio degli anni Venti del Novecento, alcune aziende piemontesi di pellicceria, importarono dal Sudamerica le nutrie, roditori vegetariani e amanti dell’acqua, con una straordinaria capacità di adattamento e notevoli potenzialità riproduttive. Quando il mercato delle pellicce di nutria entrò in crisi, invece di sostenere i costi di abbattimento degli animali ancora presenti negli allevamenti, questi lungimiranti imprenditori decisero di liberarli.

«Che bello, degli animali restituiti alla loro libertà!» penseranno i più. Sarebbe stato meglio, però, liberare le nutrie nel loro ambiente, ovvero in Sudamerica. In Italia la nutria non era prevista dalla natura. Senza predatori, ha colonizzato numerosi ambienti naturali e si è diffusa in tutto il Centro e il Nord. Essendo molto vorace, è tuttora una minaccia per i pesci e le coltivazioni, oltre che un potenziale diffusore di leptospirosi. Abbiamo capito sulla nostra pelle cosa può accadere se si mescolano specie provenienti da continenti diversi.

Il trovarci faccia a faccia con un virus nuovo, proveniente da una foresta asiatica, passato per due animali che non avrebbero mai dovuto trovarsi nello stesso posto, e diffusosi su scala globale a una velocità insostenibile anche per l’uomo, ci costringe a fare i conti con il nostro ruolo sulla Terra. Che deve necessariamente evolversi da quello di invasore a quello di custode del pianeta e dei suoi equilibri. Volenti o nolenti, infatti, siamo noi la specie che ha la capacità di comprendere i meccanismi che regolano la natura e, di conseguenza, ne abbiamo la responsabilità. Un linguaggio piano, di facile comprensione, anche per chi non ha studi rigorosamente scientifici quello di Ilaria Capua che ci accompagna alla conoscenza.

Tutelare la biodiversità deve essere uno dei nostri compiti primari, per almeno due ragioni: innanzitutto per proteggerci dai «pericoli» che essa cela (ovvero i patogeni a noi sconosciuti, che albergano in tutte le specie animali); in secondo luogo, perché la biodiversità è una ricchezza straordinaria, anche in termini di soluzioni agli stessi pericoli che genera.

Come sa chiunque sia andato per funghi, la flora produce sostanze estremamente potenti, nocive e psicotrope, ma al tempo stesso, le piante abbondano anche di sostanze benefiche e curative per l’uomo. Sono millenni che la farmacologia attinge da quel vivaio praticamente infinito che è la natura. Tuttora l’uomo si cura con farmaci derivati da erbe e radici: penso all’aspirina, che proviene originariamente dalla corteccia del salice, alla digitale, un farmaco per il cuore, che viene da un fiore, la Digitalis purpurea, o all’Eurartesim, un farmaco di nuova generazione contro la malaria il cui principio attivo è tratto dalla Artemisia. La ricerca di nuovi farmaci prende spesso avvio proprio dall’analisi delle piante che sono in uso per la cura di determinate patologie, è anche questo uno sfruttamento della biodiversità. Se viene condotto con criterio, senza generare squilibri, né alterazioni, è un grande progresso a favore della salute umana. E’ come un modo per imparare dalla natura.

La natura c’è.
Con il lockdown, è come se la natura si fosse risvegliata e ripresa i suoi spazi — spazi che, prima, le erano preclusi. A Odisha, in India, approfittando dell’assenza dei bagnanti, migliaia di tartarughe sono tornate a deporre uova sulla spiaggia. Grazie allo stop imposto a traghetti e imbarcazioni, nel porto di Cagliari sono tornati i delfini. A Madrid si sono avvistati i pavoni, a Barcellona i cinghiali selvatici, a Nara (Giappone) cervi selvatici, procioni a San Felipe (Panamá), tacchini selvatici a Oakland (California), scimmie selvatiche a Lopburi (Thailandia). Significherà qualcosa? Confinarci in casa, poi, pare abbia avuto effetti positivi non solo nella lotta al virus, ma anche in quella contro l’inquinamento. L’acqua di Venezia è tornata pulita e trasparente. L’osservatorio della NASA ha sottolineato come sia bastata qualche settimana di ritiro della specie umana per ridurre in modo drastico il problema considerato praticamente irrisolvibile (oltre che gravissimo) dell’inquinamento cinese. La stessa cosa vale per la pianura padana.

La missione Copernicus Sentinel-5P dell’Agenzia spaziale europea ha rivelato un significativo calo dell’inquinamento atmosferico, in particolare delle emissioni di diossido di azoto. Lo smog è calato anche in India, al punto che, dopo trent’anni, gli abitanti del Punjab sono tornati a vedere la catena himalayana, a duecento chilometri di distanza. La pandemia sta facendo prendere una boccata d’ossigeno al pianeta Terra. “Mi auguro che non lo si dimentichi”.

“La nostra mappa mentale deve cambiare”.
È tempo, di lasciar andare ben altro: la nostra attitudine a colonizzare, infestare, inquinare e distruggere. Quella sì, che è controproducente. La pandemia è ancora in corso ma è già tempo di prepararsi al dopo: rischiamo altrimenti di vanificare 350.000 morti (per ora) e la peggiore crisi economica e sociale degli ultimi 75 anni.

La crisi sanitaria – suggerisce la virologa – ci costringe a cambiare “mappa mentale”, riconsiderando molti aspetti del nostro modo di vivere, di produrre e di viaggiare, l’organizzazione della comunità scientifica e dei sistemi sanitari.
Tanti i nodi venuti al pettine in queste settimane: c’erano anche prima, ma adesso presentano il conto tutti insieme, e non sappiamo ancora quanto sarà salato.

Il libro li ripercorre da una prospettiva globale e interconnessa, Il ‘cigno nero’ che si è materializzato sotto i nostri occhi comprende i ritardi nella presa di coscienza del pericolo, gli errori e le reticenze nella comunicazione, le falle nella condivisione dei dati. Un tema quest’ultimo particolarmente caro alla scienziata, che nel 2005 – quando lavorava all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie di Legnaro – con il suo gruppo di ricerca fu la prima a pubblicare la sequenza genetica del virus H5N1 dell’aviaria, caricandola su un database aperto a tutti i ricercatori del mondo. Proprio la trasparenza sembra essere mancata in questi giorni, con gli Stati impegnati più a contrastarsi in un’improbabile gara per accaparrarsi conoscenze e risorse, piuttosto che a lottare insieme contro la diffusione della pandemia.

Per questo sarebbe essenziale imparare dai nostri errori, in vista delle sfide che inevitabilmente dovremo affrontare nei prossimi anni. Ora sarebbe strano se proprio i Paesi occidentali, che sono stati la culla della scienza moderna e i protagonisti degli straordinari progressi tecnologici degli ultimi secoli, avessero perso la capacità di imparare dalla propria storia. “Siamo stati avvertiti” scrive Capua nel libro.
Se domani scoppiasse una nuova pandemia, dobbiamo farci trovare pronti. Per questo è importante cercare di individuare le ragioni delle nostre fragilità.

Bisogna pensare a strumenti e strategie differenziate per proteggere gli strati più fragili della popolazione, a cominciare dagli anziani e da chi soffre già di gravi patologie, il cui numero negli ultimi decenni è aumentato proprio a causa della maggiore ricchezza e dei progressi della medicina.

In questi giorni tutti abbiamo sperimentato quanto possano essere preziose le tecnologie informatiche, sia per il lavoro che per mantenere le relazioni. Anche l’organizzazione del lavoro e del tempo libero potrebbe essere profondamente ripensata, in modo da evitare gli spostamenti non strettamente necessari – limitando inquinamento e sprechi di tempo – e salvaguardare maggiormente la vita personale e familiare.

Un cambiamento di paradigma che potrebbe anche avvantaggiare chi finora è stato sfavorito dall’assetto precedente, a cominciare dalle donne. Proprio le donne che, dai dati disponibili fino a questo momento, sembrano maggiormente resistenti al virus e che per questo, secondo la scienziata, dovrebbero avere un ruolo da protagoniste nella ripartenza.

“Credo che l’esperienza della quarantena e, in generale, della pandemia, ci abbia mostrato chiaramente quanto insensata sia la dicotomia tra lavoro e cura – scrive la scienziata –. E, soprattutto, quanto insensato sia stato aver bollato la cura come secondaria - e, in quanto tale, appannaggio delle donne”.

Su una cosa invece è lecito dubitare. “Spero con tutto il cuore – scrive ancora Capua – che questa overdose di numeri e nozioni di virologia e medicina, spesso comunicate con troppa superficialità, favoriscano un maggior desiderio di capire e di sapere. Una maggior sete collettiva di scienza e di conoscenza. avvicinando la scienza alla cittadinanza. Tuttavia occorre sapere che la cronaca purtroppo non sopperisce alle mancanze della scuola e della società. L’antiscienza è sempre in agguato pronta a ripartire. Sta a tutti noi, al nostro senso di responsabilità individuale e collettiva fare tutto ciò che occorre non solo per sconfiggere il virus, ma per ripensare il futuro per i nostri figli ed i nostri nipoti. E’ un dovere morale e politico al quale non ci si può sottrarre.

Grazia Labate

Ricercatrice in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità
  

08 giugno 2020