“L’Italia delle donne. Settant’anni di lotte e di conquiste”. Un'opera collettiva da consegnare alle giovani generazioni di Vittoria Franco

Considero quest’opera collettiva un dono da consegnare alle giovani generazioni, donne e uomini. Dentro non c’è soltanto la storia delle donne più o meno remota; ci sono le donne contemporanee che hanno fatto la storia recente, protagoniste e testimoni, che vogliono preservare i valori fondamentali della convivenza civile, salvaguardare i diritti conquistati e i passi avanti realizzati, premessa indispensabile per realizzarne di nuovi...


E sì che c’era bisogno di un volume come questo! Stiamo vivendo infatti con preoccupazione un ciclo storico che mai ci saremmo aspettate di dover affrontare a 50 anni dai movimenti femminili e dal decennio d’oro delle riforme civili che hanno fatto fare alle donne e alla società italiane un balzo in avanti verso la civiltà giuridica e la parità fra uomini e donne. Tira aria di regressione soprattutto nell’ambito dei diritti civili conquistati negli anni ’70 e ‘80; sono espliciti i tentativi di ricacciarle indietro rispetto agli indiscutibili traguardi conseguiti, sia pure faticosamente e lentamente. Si attenta agli spazi di autonomia; si mette in discussione il principio della parità dei coniugi e dell’uguaglianza fra i generi. Gli ambienti più retrivi sono usciti allo scoperto, sentendosi spalleggiati da forze politiche che sono arrivate al governo e che pensano di lucrare sulla pelle delle donne parlando di una famiglia e di una società chiuse e discriminatorie nei loro confronti.

Il volume è stato pensato e realizzato nel settantesimo del voto alle donne e della nascita della Repubblica e racconta la storia delle donne italiane che hanno contribuito a costruire un’Italia più moderna e inclusiva, dalla partecipazione alla lotta di liberazione dal nazifascismo alle lotte per il diritto di voto, per conquistare diritti civili e sociali, guadagnare posizioni e riconoscimenti all’interno della società. Una storia gloriosa, che i diversi saggi fanno emergere ricostruendo biografie, ritratti, percorsi legislativi.

Le prime protagoniste sono le donne costituenti, da Nilde Iotti - che sarà la prima donna a diventare presidente della Camera nel 1979 guadagnando sempre più autorevolezza e prestigio - a Lina Merlin, da Teresa Noce e Rita Montagnana a Maria Federici, dalla giovanissima Teresa Mattei ad Angela Cingolani e alle altre, ritratte da Maria Teresa Morelli. Tutte donne laureate o comunque con importanti percorsi politici ed altamente rappresentative dei mondi delle donne. Alla loro combattività e capacità di unirsi sugli obiettivi fondamentali che riguardavano la parità e l’uguaglianza dobbiamo i passaggi a favore delle donne presenti nella nostra Costituzione. Meritano davvero di essere riconosciute come Madri costituenti e fondatrici della Repubblica. Bisogna ricordarlo alle giovani donne, le quali partono, comprensibilmente, dal loro presente fatto di libertà e diritti già conquistati e di cui godere rischiando però di perdere la dimensione della loro storicità. Bisogna ricordare loro - come mi piace ripetere - che questi diritti non sono dati per natura, ma sono il frutto, anche a costo della vita, di lotte secolari e faticose e che si possono anche facilmente perdere. In tempi di regressioni come quello attuale, i primi diritti a essere messi in discussione sono infatti proprio quelli femminili; viene messo in atto un vero e proprio contrattacco. Qualcosa di analogo successe negli USA in epoca reaganiana.

Nel denso saggio di apertura giustamente Livia Turco declina la conquista della cittadinanza femminile prevista dalla Costituzione con le varie leggi che negli anni sono state promosse per rendere effettivi i diritti di eguaglianza ivi riconosciuti. Centrali sono l’art. 3, che parla di eguaglianza “senza distinzione di sesso”; l’art. 29 sulla parità giuridica dei coniugi; l’art. 51 sull’accesso ai pubblici uffici e sulla rappresentanza istituzionale. Tutte premesse che hanno reso possibili riforme importanti come il nuovo diritto di famiglia del 1975 (tema su cui propone un approfondimento Benedetta Ferri Rinaldi), l’accesso delle donne a tutte le professioni, compresa la magistratura dalla quale molti costituenti volevano escluderle per inidoneità, l’istituzione delle commissioni di pari opportunità e, più di recente, leggi elettorali con norme antidiscriminatorie. Molti interventi insistono su quella dimensione di eguaglianza sostanziale e non soltanto formale che è data dal secondo comma dell’art. 3 e dal richiamo alla solidarietà dell’art. 2. Il primo impegna la Repubblica a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. La seconda implica la costruzione di istituti e reti di protezione delle persone, il monito a non lasciarle sole. Solidarietà come antidoto alla frammentazione sociale che produce solitudine e principio cardine che serve a rendere effettivi i diritti fondamentali di eguaglianza e di pari dignità.

 

Per le donne vanno in questa direzione il riconoscimento del valore sociale della maternità, il congedo di maternità obbligatorio, l’istituzione di servizi come gli asili nido e le scuole materne, la parità salariale, di cui sarà artefice Tina Anselmi, prima donna a essere nominata ministro nel 1976 e alla quale il volume tributa un ampio e meritato spazio. Battaglie lunghe e faticose sono state richieste - lo ricorda sempre Livia Turco - per ottenere leggi per il contrasto della violenza sulle donne (bisogna aspettare il 1996 per qualificare tale reato contro la persona e non più contro la morale pubblica) e sul femminicidio come nuova fattispecie di reato. Anche se - lo sappiamo - per questo tipo di reati le leggi sono importanti, ma non bastano; occorre un lavoro, di più complessa lena, di educazione al rispetto della libertà femminile e all’inviolabilità del corpo delle donne.

Il cammino delle donne è stato lungo e faticoso anche perché le condizioni di partenza erano di una incredibile arretratezza, come mostra Graziella Falconi nella sua interessante introduzione, significativamente intitolata La lunga marcia delle donne italiane. Si pensi, solo per fare un esempio, a quanto sosteneva Rosmini sulla divisione naturale dei ruoli: “Compete al marito, secondo la convenienza della natura, essere capo e signore; compete alla moglie, e sta bene, essere quasi un’accessione, un compimento del marito, tutta consacrata a lui e dal suo nome dominata”. Una posizione che certamente veniva da lontano, ma quella era l’opinione comune, rispecchiata nelle leggi e nei costumi. Era l’epoca in cui vigeva lo jus corrigendi, il potere correttivo che contemplava la legittimità dell’uso della violenza se questa era finalizzata a correggere comportamenti non conformi della moglie o delle figlie. Bisogna aspettare il 1956 perché venga abolito!

Altri saggi, che compongono la seconda parte, dedicata alla cittadinanza, entrano più nel dettaglio di singole questioni. Fra le altre, la conquista dei diritti politici a partire dal diritto di voto e la storia dei vari movimenti che l’hanno sostenuta in Italia e nel mondo (Taricone e Francesca Rosa), i diritti riproduttivi come diritti di eguaglianza (Susanna Mancini), maternità e lavoro (Donata Gottardi).

Importante è il saggio di Anna Loretoni che fornisce un quadro teorico alla questione e mostra come le pratiche e gli studi di genere abbiano contribuito a elaborare strategie critico-decostruttive del concetto di cittadinanza, nel senso che viene dichiarata l’insufficienza di un concetto di cittadinanza intesa semplicemente come inclusione in una cornice già predisposta in anticipo. È la critica che il femminismo ha mosso ai movimenti di emancipazione basati sull’omologazione e assumendo invece il principio della differenza sessuale, più adeguato a rappresentare bisogni differenziati e a rendere più complesso e più giusto il concetto di eguaglianza.

Un capitolo che non poteva mancare è quello dedicato alle Madri d’Europa, scritto da Pia Locatelli. Tra le fondatrici vengono ricordate Ursula Hirschmann, moglie prima di Eugenio Colorni e poi di Altiero Spinelli – due estensori del Manifesto di Ventotene -, ma soprattutto intelligente attivista pro Europa; Ada Rossi, Fausta Deshormes La Valle, Simone Veil, che diventerà la prima presidente del Parlamento europeo, e altre. Ma soprattutto, vengono richiamati i punti di forza delle politiche europee a favore delle donne e della parità, a partire da quel concetto fondamentale inserito nei Trattati che è il mainstreaming, poi accolto - insieme all’altro concetto cardine che è empowerment - dalla IV Conferenza mondiale dell’ONU svoltasi a Pechino nel 1995. La conclusione, assolutamente condivisibile, è che alle donne l’Europa conviene, nonostante che anche a livello europeo soffi il vento della regressione.

Dicevo in apertura che questo libro - che parla del lungo e tortuoso cammino delle donne - dovrebbe essere letto dai giovani tutti, donne e uomini. La ragione mi sembra evidente. Le donne, attraverso le lotte e le radicali elaborazioni storiche e concettuali svolte ad opera di studiose ed attiviste, hanno costruito una loro nuova e rinnovata identità di genere che le ha trasformate da oggetto in soggetti responsabili e capaci di autodeterminazione. La reazione degli uomini alle nuove libertà femminili è stata un disorientamento culturale e comportamentale che ha creato una discrasia difficilmente ricomponibile se qualcosa non cambia nel modo di vivere la relazione. La libertà femminile viene, infatti, da loro vissuta spesso come perdita di privilegi e di prerogative secolari. Ne emerge la difficoltà di trovare un nuovo equilibrio fra soggetti che godono di eguale libertà e dignità. Lo si vede platealmente nei fenomeni di violenza e nei casi di femminicidio, che sono provocati sempre da gesti di libertà delle donne e da una persistente concezione gerarchica della relazione come possesso e dominio.

Sono convinta che conoscere la storia e il faticoso processo del cammino delle donne possa aiutare anche gli uomini a elaborare una loro nuova identità di genere fondata sul rispetto reciproco e sul limite, su quella che Luce Irigaray chiama indirezione dell’amo a te. In quel far diventare intransitivo un verbo transitivo è contenuto un rivolgimento culturale del rapporto fra i generi non più basato sul dominio, ma rispettoso di un limite di genere che non può essere travalicato. Solo così si può ricominciare insieme, uomini e donne, a formulare un rinnovato patto per costruire un nuovo mondo comune, basato sull’eguaglianza e sul riconoscimento reciproco della libertà di ciascuna/o. Patto per condividere il potere in ogni settore di attività: nella rappresentanza istituzionale, nel mercato del lavoro e nelle carriere; per affermare una rappresentanza eguale nei luoghi in cui si assumono le decisioni; per condividere il lavoro di cura e la genitorialità, per realizzare una reale parità salariale. Insomma, per dare gambe e realtà al principio della democrazia paritaria. Tutto questo vuol dire ricontrattare i ruoli, scardinare la dicotomia tra sfera pubblica e sfera privata che si è creata all’origine dello Stato moderno e che si definisce in base a ruoli predefiniti dei due generi.

Occorre insomma continuare a mettere in discussione il racconto archetipico fondato sulla diseguaglianza – considerata naturale o costruita socialmente, poco importa - che ancora persiste per costruire insieme una nuova storia, che racconta di un processo di democratizzazione nel quale l'uomo e la donna divengono «cofondatori» della cittadinanza universale stringendo un patto di non discriminazione, fondato sulla valorizzazione e il rispetto delle persone, delle competenze, dei talenti maschili e femminili.

 

Vittoria Franco

Fondazione Nilde Iotti

L’Italia delle donne. Settant’anni di lotte e di conquiste

Donzelli Editore, 2018, pp 344.

21 aprile 2019