Il sorriso di Giglia. Il video integrale del connvego. I messaggi di Fassino e Veltroni. L'ìintervento di Marisa Rodano

Ricordo di Giglia Tedesco a dieci anni dalla morte. L'incontro si è svolto a Roma giovedì 16 novembre.   Leggi il programma del covegno promoso dalla Fondazione Nilde Iotti     Il video del convegno da Radio Radicale

Il messaggio di Piero Fassino

Cara Livia, care compagne, cari compagni,

impegni politici fuori Roma mi impediscono di partecipare oggi all’incontro dedicato alla carissima Giglia Tedesco, una donna straordinaria che moltissimo ha dato al PCI, al PDS, al movimento socialista, alla sinistra italiana e alle istituzioni della Repubblica.
In chiunque abbia avuto la fortuna di  conoscerla e frequentarla rimane il ricordo di una donna di forte passione civile e politica e di grande generosità, manifestate nei tanti incarichi politici e istituzionali ricoperti. E la sua capacità di stabilire con ogni interlocutore una corrente di simpatia umana che accresceva stima e considerazione di lei.

Di Giglia mi piace ricordare con gratitudine l’affetto e la premura con cui sempre mi ha accompagnato negli anni in cui ho guidato i Democratici di Sinistra.

Di ognuno di noi rimane nella memoria di amici e compagni un segno: di Giglia portiamo nel cuore e negli occhi quel meraviglioso sorriso amichevole e accogliente con cui accompagnava il suo dire e il suo fare.

A tutti i partecipanti all’incontro, un abbraccio affettuoso.
 

Piero Fassino

 

Il messaggio di Walter Veltroni

La prima cosa che mi viene in mente se penso a Giglia Tedesco è il suo sorriso. Il sorriso di una donna colta, appassionata, che amava l'ironia. Questo suo tratto sapeva mescolarsi bene con il suo coraggio, la combattività che metteva nel suo lavoro e nella sua passione politica. Ci ha lasciato dieci anni fa. Un tempo in cui molte cose sono cambiate e in casi come questi mi capita di pensare: cosa avrebbe pensato Giglia dell'oggi?

Conoscevo bene di lei quell'intreccio profondo tra il passato e il presente. Veniva da una famiglia cattolica e liberale, una famiglia antifascista, suo padre aderì all'Aventino per protestare contro l'assassinio di Matteotti. Lei visse tutta la sua infanzia negli anni del regime ma arrivò giovanissima alla lotta antifascista. Ci entrò da cattolica che aderiva al Pci e – forse soprattutto – da donna. Il suo modo di far politica (che fosse all'Udi, o in parlamento, o nelle assemblee e nelle piazze)  era fatto di passioni e convinzioni forti. Ma anche di voglia di capire il nuovo, di cambiare lo stato delle cose. Così seppe confrontarsi in maniera aperta con le nuove istanze femministe che giudicava figlie della lunga lotta per l'emancipazione, per la piena affermazione delle donne nei luoghi di lavoro come nella politica. Era combattiva e aperta, colta e ironica. La mia generazione considerava con un po' di timore i dirigenti venuti da esperienze politiche lunghe ma che forse percepivamo anche un po' lontane. Con Giglia questo non succedeva perché lei era sempre pronta a un dialogo e un confronto, a capire le domande nuove e a condividerne gli slanci.

Nei momenti di svolta, nei passaggi difficili, quando il cambiamento appariva a molti necessario e a tanti altri troppo difficile da compiere, lei era sempre in grado di dare una spinta in avanti. Io personalmente l'ho sentita sempre molto vicina, fino all'idea dell'incontro dei riformisti. Ma voglio finire con il ruolo delle donne. Era la sua bussola, l'impegno più forte. A cominciare dall'Italia del dopoguerra, quando per la prima volta il suffragio diventò davvero universale lei lavorava per un cambio radicale della vecchia cultura, dei vecchi rapporti di forza duri a morire, anche a sinistra. Di strada, tra mille resistenze e grazie a donne come lei, ne è stata fatta moltissima ma Giglia – a ragione – avrebbe detto ancora oggi che molta ne resta da fare. Con coraggio, passione, caparbietà e ironia, con quelle che erano le sue doti, quella strada noi tutti - donne e uomini - la dobbiamo percorrere, ancora. Insieme.

Walter Veltroni

 

L'intervento di Marisa Rodano

E’ con dolore ed emozione che prendo la parola per ricordare Giglia Tedesco; perché, anche se sto perdendo la memoria - ho vivo il ricordo di quando in Campidoglio furono festeggiati in allegria, con tanto di torta, i suoi ottant’anni e insieme l’anniversario dell’entrata in vigore del nuovo diritto di famiglia, di cui era stata un’artefice. Giglia Tedesco per me non è stata solo una compagna, con cui ho condiviso tante battaglie; è stata per più di sessanta anni un'amica stretta, quasi una persona di famiglia.    Quando ho conosciuto Giglia, nel '44, dopo la liberazione di Roma, avevo 23 anni: Giglia ne aveva 18. Era una bellissima ragazza bionda. Non so come fosse arrivata a quel movimento nel quale militavo già da qualche anno; il M.C.C. poi divenuto, nel corso di quell'estate, Partito della Sinistra Cristiana. (Già allora si usava fare delle fusioni e cambiare nome…) Ad Annamaria Riviello Giglia aveva detto che fu perché era credente. Aspetto rievocato da Gianni Gennari che ha ricordato la presenza fedele di Giglia e di Tatò tra gli anni ’60 e ’70 nella chiesa della Natività in Via Gallia per contrastare le scorribande, talora violente, per interrompere la celebrazione della messa, degli estremisti nostalgici dell’anticoncilio e dei picchiatori fascisti.    Credo che la sua militanza in quel piccolo partito, pur essendo stata una breve esperienza, abbia avuto una notevole importanza nella sua formazione. In primo luogo nel consolidare la sua visione laica, non ideologica della politica, che Giglia doveva aver in parte introiettato in famiglia, tramite l'esperienza del nonno, Ministro di Giolitti: ma sicuramente affinò e consolidò in quei mesi   Lei stessa ha detto ad Anna Maria Riviello: "La mia prima esperienza politica è stata lì, un'esperienza breve perché poi nel dicembre del '45, nel congresso di scioglimento, decidemmo a grande maggioranza di entrare nel PCI: entrammo col V Congresso e quella fu una tappa molto importante. Il V Congresso, su volontà soprattutto di Togliatti che aveva ben chiaro che cosa doveva essere il partito nuovo (e grazie anche, aggiungo io, alle pressioni che noi, cattolici comunisti, esercitammo) stabilì che al PCI si aderiva non sulla base dell'ideologia, ma sulla base del programma politico. "   Una questione non di poco conto, che si è più e più volte riproposta nella storia della nostra Repubblica. Particolarmente viva oggi, in un'epoca che qualcuno ha definito del "postsecolarismo", cioè della perdita di quella “secolarizzazione” della società e della politica e soprattutto di quella concezione della “laicità” che, anche grazie alla politica del PCI e al ruolo della tradizione popolare degasperiana dentro la DC, si era venuta affermando e sembrava una conquista stabile. Oggi, invece, non mancano, da un lato sia pur isolati rigurgiti laicisti vecchia maniera, e, dall’altro soprattutto il riemergere in modo particolarmente virulento dell'idea, o addirittura della pretesa, che lo Stato debba assumere e far suo il punto di vista della Chiesa cattolica – si pensi alle cosiddette coppie di fatto o alla procreazione assistita, o al testamento biologico -. Credo che la persuasione maturata in quei mesi sia stata per Giglia un asse costante: nella sua vita politica, nella sua capacità di dialogo (si pensi all'esperienza parlamentare sul diritto di famiglia, alle battaglie sui consultori, l'aborto, gli asili nido, il divorzio, la 194) e, da ultimo nella sua convinta adesione e nel suo impegno nella costruzione del Partito democratico, fino al punto, malgrado ormai avesse bisogno di appoggiarsi al bastone per camminare, di andar girando a distribuire volantini per invitare le persone a votare nelle primarie….   Pur se non posso soffermarmi, come sarebbe necessario, ma il tempo è tiranno, vorrei accennare, facendo un salto di parecchi anni, - riferisco miei ricordi diretti - alla funzione di Giglia nella Presidenza dell’UDI, in cui venne eletta al VI° Congresso nel 1959, alla vigilia di un decennio, quello - per noi "mitico" - degli anni '60. Un decennio, che , anche grazie al suo lavoro e a quello di Nilde Jotti, sarebbe stato essenziale per le conquiste di emancipazione delle donne italiane e soprattutto per affermare un principio  basilare, in cui allora eravamo in poche a credere: che fine e ragion d’essere di un’associazione femminile non potesse che essere l’emancipazione, che un’associazione con quello scopo doveva essere autonoma – da partiti, da governi, da forze economiche e sociali – e unitaria, capace di parlare a tutte le donne; che cioè l'emancipazione femminile non potesse discendere dalla lotta di classe, dalle lotte generali, dalla battaglia, come allora si diceva, per le "riforme di struttura", ma che sarebbe stata proprio la lotta di emancipazione delle donne a contribuire a una profonda trasformazione della società .    Nelle conclusioni al VII° Congresso dell'UDI, nel '64, Giglia affermava: “Possiamo fin d’ora asserire […] che questo VII Congresso […] ha dimostrato come l’esigenza […] di un’associazione autonoma e unitaria per l’emancipazione femminile, sia profondamente penetrata nella coscienza della nostra organizzazione. […] la svolta da realizzare oggi, […] è quella della messa in pratica dell’autonomia in tutti i campi, in tutte le sue implicazioni e in tutti i suoi aspetti.] Un'idea che, dopo l'esperienza femminista, sembra ovvia, ma che allora pareva un'eresia.   Giglia, in quelle stesse conclusioni, invitando a riflettere sul fatto che in 16 anni di Repubblica nulla si era ancora fatto in merito alla riforma del diritto di famiglia   asseriva (prego di considerare la data!)  che essa si configurava ormai come un obiettivo urgente e centrale per il movimento di emancipazione femminile e, sul divorzio,  ribadiva il principio dell'autonomo punto di vista delle donne: la questione del divorzio non poteva porsi “in termini di contrapposizione tra “cautela “ e spregiudicatezza”; e affermava che l’autonomia su tale argomento stava proprio “nella apertura di una discussione seria e responsabile che implica una capacità nostra di ricercare, anche nella elaborazione del modo e delle forme che un eventuale istituto di divorzio dovrebbe assumere nella società italiana una linea che non sia di adesione acritica e superficiale a qualsivoglia posizione precostituita in campo giuridico o politico, ma rappresenti, anche in questo settore, una costruzione originale nostra. Si tratta di qualche cosa che solo le donne, nell’interesse delle donne, possono fare, e a noi spetta impegnare in questo non solo l’opera dei gruppi di avanguardia, ma la passione e l’interesse delle grandi masse di donne per le quali la questione è ormai aperta.”   Sempre nelle conclusioni al VII Congresso dell’UDI, a riprova che quella discussione era ancora viva, citando un commento abbastanza spiritoso di Alfredo Todisco sul Corriere della Sera, affermava: “Noi potremmo sintetizzare il Congresso dell’UDI con questo interrogativo: con l’esaurirsi della lotta per la parità si esaurisce il ruolo delle associazioni femminili? In un congresso di donne piuttosto agguerrite, un simile interrogativo non è di poco conto. Sarebbe come se lo stato maggiore delle forze armate tenesse a esaminare l’ipotesi dell’abolizione dell’esercito…”.    E ancora, non si può non ricordare il ruolo che Giglia svolse al Congresso della FDIF a Mosca del giugno 1963, quando, l’UDI, la prima a farlo tra le cosiddette "associazioni di massa" italiane, affermò il suo dissenso dalle posizioni della Federazione Internazionale e la sua indipendenza. La sua convinzione (oltre che la sua presenza a capo della delegazione italiana in quella assise) fu risolutiva per ottenere che l'UDI passasse da membro aderente a membro associato della federazione. Ancora una volta un'azione di avanguardia rispetto ai tempi. Giglia Tedesco, insomma, non fu solo una brava militante; fu protagonista di campagne politiche importanti, che hanno segnato il nostro paese e di battaglie parlamentari fondamentali.  Era innovativa, sempre aperta al nuovo; una donna che ha dato un grande contributo di pensiero alla sinistra.   Forse deriva da quella sua prima lontana esperienza, all'indomani della liberazione, anche un altro aspetto caratterizzante della pratica politica di Giglia: l'impegno e la disponibilità senza riserve: anche se le costava fatica Giglia, persino negli ultimi anni, era sempre pronta ad andare dove la richiedevano.   Penso ad esempio al suo legame, mai interrotto con la zona Tiburtina, dove era stata eletta nel suo ultimo mandato. Giglia abitava nel centro storico, ma si era iscritta alla sezione Moranino e lì rimase fino alla fine della sua vita.  Forse, ritrovava tra i lavoratori e le donne della Tiburtina, dopo molti anni di assenza – era stata eletta per due legislature nel collegio di Arezzo – quelle relazioni di solidarietà popolare caratteristiche di certe zone di questa nostra comunità urbana, e, dunque, il suo ambiente naturale, la sua città, Roma cui   la legava un attaccamento profondo. Giglia, fin da giovanissima, (quando io l'ho conosciuta) possedeva quella straordinaria capacità comunicativa, che nasceva dal suo interesse reale per la vita della gente e che è stata sempre una caratteristica, da tutti riconosciuta e ammirata, del suo modo di fare politica.  La prova vivente che si può agire anche ai vertici, persino nel "palazzo", con la generosità che è propria di tanti semplici militanti. Un modo di fare politica, insomma, che fa di lei un esempio prezioso specie in tempi in cui la politica, per troppe persone, non è più considerata come un servizio, ma come mezzo di promozione personale, di conquista di visibilità, come una carriera. Niente di più lontano dal comportamento di Giglia Tedesco, che amava l’understatement ed era di una modestia quasi sconcertante.   Si potrebbero portare mille esempi.  Vorrei ricordarne uno, (rievocato anche questo da Gianni Gennari in un articolo sull’Unità): lei che organizzava cene - non so come facesse in mezzo a tanti impegni di lavoro, (era una cuoca eccezionale) - per favorire a casa sua incontri riservati tra Berlinguer e dirigenti di altre forze politiche. Ad esempio - come ha scritto anni fa Giulio Andreotti -  fu in quella casa che nel '76 si trovò, per uscire da una lunga crisi, la formula del governo della "non sfiducia", che dette inizio alla fase della cosiddetta solidarietà nazionale. Giglia era una dirigente di primo piano, faceva parte della Direzione del PCI, ma non disdegnava di contribuire a un paziente, discreto lavoro di tessitura di rapporti politici stando dietro i fornelli. Anche questo un contributo alla causa della sinistra, cui tanto credeva.   Era una donna straordinaria e lo dimostrava anche nella vita quotidiana. Ammirevole il suo coraggio nel scegliere di legarsi a un uomo che aveva già quattro figli, di dedicarsi a loro come fossero stati i suoi e di affrontare con una dedizione non comune gli eventi dolorosi che, nel corso degli anni, colpirono quella loro famiglia, di cui continuò a farsi carico, punto di riferimento indispensabile, dopo la scomparsa prematura del suo amatissimo Tonino. Il sorriso, la disponibilità, la serenità di Giglia hanno sempre nascosto che non ha avuto una vita facile, funestata da drammi, da dolori, dalla perdita prematura di tante persone care: il fratello, stroncato dalla malattia giovanissimo, il marito troppo prematuramente scomparso.   La sua disponibilità la sua amicizia erano preziose. Ci ha lasciato un esempio di disinteresse e di impegno rari, un modello di militanza straordinario.   Non dimenticarla significa anche riflettere e fare tesoro di quel modello. Un modello paradigmatico da indicare   ai giovani e alle giovani che si affacciano oggi sulla scena della politica.   Marisa Rodano

 



 

15 novembre 2017