Teresa Mattei

di Grazia Labate


Teresa Mattei è stata la più giovane donna eletta all'Assemblea Costituente, la chiamavano "la ragazza di Montecitorio". Teresita Mattei, nata a Genova,( Quarto) il 1° febbraio 1921, terza di sette figli, il padre, Ugo Mattei, era un avvocato liberale, la madre, Clara Friedman, figlia di un glottologo. Nel 1938, a 17 anni, venne espulsa dal liceo classico Michelangelo di Firenze e radiata da tutti gli istituti del Regno perché, dopo aver ascoltato in classe l’intervento del professor Santarelli, inviato nelle scuole a far propaganda razzista, si alzò in piedi e disse: «Io esco perché non posso assistere a queste vergogne».

Sostenne poi la maturità quell’anno (era in seconda liceo) come privatista, su consiglio del professor Piero Calamandrei che le aveva proposto questa soluzione. (Patrizia Pacini, La Costituente: storia di Teresa Mattei, Altreconomia, Milano 2011). Partigiana, membro della Costituente e del Partito Comunista (fino al 1955). Era stata partigiana con il nome di battaglia "Chicchi", molto attiva nella Resistenza e nella lotta di Liberazione, faceva parte dei Gap e, partecipò anche ad attentati in quegli anni difficili.  Il fratello Gianfranco, partigiano come lei, fu sorpreso nel 1944 dai nazisti e portato nel carcere di via Tasso a Roma dove, dopo spaventose torture, nel timore di tradire i compagni, si impiccò con la cintura dei pantaloni nella notte tra il 6 e il 7 febbraio 1944.

Teresa, partigiana pure lei, che in questa circostanza avrebbe voluto stare accanto ai genitori, fu intercettata dalle SS durante il viaggio verso Firenze. Picchiata, torturata e violentata, riuscì a fuggire. Si laureò in filosofia a Firenze il 3 giugno del 1944: in fuga dai tedeschi dopo aver fatto saltare in aria un convoglio carico di esplosivo nascosto in un tunnel, si rifugiò all’Università, dove il professor Eugenio Garin, amico di famiglia e suo relatore per la tesi, era riunito con altri colleghi. Per salvarla, Garin e gli altri formarono una commissione di Laurea estemporanea e quando arrivarono i tedeschi Teresa aveva un’alibi. La discussione della tesi fu poi considerata valida. Indomita e coraggiosa disse:  «Aver paura non significava non aver il coraggio di superarla».

E' stata candidata per il Pci all'Assemblea Costituente, nella quale aveva il ruolo di segretaria dell'ufficio di presidenza. Donna di grande intelligenza e vitalità, infaticabile, così la ricorda sempre Patrizia Pacini.

In prima fila a battersi per i diritti delle donne. C'era lei dietro la mimosa diventata il simbolo della festa delle donne: "Scegliamo un fiore povero, facile da trovare nelle campagne" suggerì a Luigi Longo nel lontano 8 marzo 1946, insieme a Teresa Noce e a Rita Montagnana. Ha lavorato alla stesura dell'articolo 3, per l'uguaglianza dei cittadini, cardine della nostra Costituzione".  

Fece parte del Comitato dei 18 che, il 27 dicembre 1947, consegnò nelle mani del Capo dello Stato - Enrico De Nicola - il testo della Carta Costituzionale.

In prima fila nella lotta per la parità fra uomini e donne, e per l’accesso delle donne alla magistratura, ottiene che venga aggiunto all’articolo 3 della Costituzione «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

E’ uno degli articoli più significativi e importanti della nostra Costituzione.

Il suo intervento in aula coerente ed appassionato.

[…] “Noi salutiamo quindi con speranza e con fiducia la figura di donna che nasce dalla solenne carta costituzionale nazionale. Nasce e viene finalmente riconosciuta nella sua nuova dignità, nella conquista pienezza dei suoi diritti, questa figura di donna italiana finalmente cittadina della nostra Repubblica. Ancora poche Costituzioni nel mondo riconoscono così esplicitamente alla donna la raggiunta affermazione dei suoi pieni diritti. Le donne italiane lo sanno e sono fiere di questo passo sulla via dell’emancipazione e insieme dell’intero progresso civile e sociale. E’, questa conquista, il risultato di una lunga e faticosa lotta di interi decenni. […] In una società che da lungo tempo ormai ha imposto alla donna la parità dei doveri, che non le ha risparmiato nessuna durezza nella lotta per il pane, nella lotta per la vita e per il lavoro, in una società che ha fatto conoscere alla donna tutti quei pesi di responsabili e di sofferenza prima riservati normalmente solo agli uomini, che non ha risparmiato alla donna nemmeno l’atroce prova della guerra guerreggiata nella sua casa, contro i suoi stessi piccoli e l’ha spinta a partecipare non più inerme alla lotta, salutiamo finalmente con un riconoscimento meritato e giusto l’affermazione della completa parità dei nostri diritti. […] La nostra esigenza di entrare nella vita nazionale, di entrare in ogni campo di attività che sia fattivo di bene per il nostro paese, non è l’esigenza di affermare la nostra personalità e qui contrapponendola alla personalità maschile. […] Noi non vogliamo che le nostre donne si mascolinizzino, non vogliamo che le donne italiane aspirino ad una assurda identità con l’uomo; vogliamo semplicemente che esse abbiano la possibilità di espandere le proprie forze, tutte le loro energie, tutta la loro volontà di bene nella ricostruzione democratica del nostro Paese. Perciò riteniamo che il concetto informatore della lotta che abbiamo condotta debba stare alla base della nostra nuova Costituzione, rafforzarla, darle un orientamento sempre più sicuro. E’ nostro convincimento che nessun sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piene emancipazione femminile”.

Per quanto riguarda l'accesso delle donne a tutti gli impieghi, in più occasioni le costituenti si trovarono di fronte a formulazioni che, in maniera implicita, discriminavano le donne. Rovente è il dibattito per l'approvazione dell'articolo 51, che inizialmente prevedeva la formula: «Tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubbliche e alle cariche elettive in condizione di eguaglianza, conformemente alle loro attitudini ». Tale inciso viene letto, a ragione, come una limitazione e una barriera verso le carriere femminili, che sembrano indirizzate verso settori limitati e adatti alle sole donne. Dopo un vivace dibattito la formula viene eliminata e viene inserita la parte finale del testo: «secondo i requisiti stabiliti dalla legge». L'altro articolo fonte di accese polemiche è l'articolo 98 (ora 106) riguardante l'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive.

«I magistrati sono nominati con decreti del Presidente della Repubblica, su designazione del Consiglio superiore della Magistratura, in base a concorso seguito da tirocinio. Possono essere nominate anche le donne nei casi previsti dalle norme sull'ordinamento giudiziario»

In assemblea plenaria, la prima a chiedere la parola è la più giovane deputata eletta: Teresa Mattei che, fermamente ribadisce:

«Noi non possiamo ammettere che alle donne rimangano chiuse porte che sono invece aperte agli uomini. Sia tolto ogni senso di limitazione e sia anzi affermato, in forma esplicita e piena, il diritto alle donne ad accedere ad ogni grado della Magistratura come di ogni altra carriera”.

Di fronte alle obiezioni delle deputate e di alcuni costituenti sul merito dell'articolo, Giovanni Leone, apporta delle considerazioni discutibili, ma da molti condivise. Egli afferma di non essere completamente contrario all'ingresso delle donne in magistratura. Ritiene, infatti, che esse avrebbero fatto un ottimo lavoro nei tribunali dei minori, grazie alla loro femminilità e sensibilità, ma è altrettanto convinto che:

«negli alti gradi della magistratura, dove bisogna arrivare alla rarefazione del tecnicismo, è da ritenere che solo gli uomini possano mantenere quell'equilibrio di preparazione che più corrisponde, per tradizione a queste funzioni»

Ugualmente l'onorevole Carlo Molè dichiara solennemente che: «per motivi riguardanti il complesso anatomo-fisiologico, la donna non può giudicare», riprendendo un secolare dibattito sull'incapacità delle donne di giudicare, perché vittime di isteria e irrazionalità. Tale pregiudizio è rintracciabile anche nel secondo intervento di Giovanni Leone teso a stabilire che una donna giudice non avrebbe saputo: «resistere e reagire all'eccesso di apporti sentimentali».

La Federici, a nome delle altre colleghe, critica fortemente gli oppositori:
Nonostante l'accorato discorso della Federici, le deputate sono costrette ad applicare una doppia strategia per migliorare il testo di legge. Da una parte presentano l'emendamento Rossi-Mattei, che afferma in maniera chiara il diritto di accesso a tutti i gradi della magistratura anche per le donne, dall'altra, quello della Federici, che richiede la soppressione di qualsiasi limitazione, senza però fare riferimento esplicito al sesso femminile. Il 26 novembre 1947 l'Assemblea Costituente vota e l'emendamento Rossi-Mattei non passa per 153 voti contrari e solo 120 favorevoli. Il giorno successivo le deputate di tutti i gruppi fanno approvare un ordine del giorno che recita:

«L'Assemblea Costituente, considerato che l'articolo 48 garantisce a tutti i cittadini di ambo i sessi il diritto di accedere alle cariche elettive e agli uffici in condizione di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge, afferma che per quanto riguarda l'accesso della donna alla magistratura, l'articolo 48 contiene le garanzie necessarie per la tutela di questo diritto».

Se le costituenti non si fossero impuntate così duramente, forse si sarebbe dovuto attendere ben più di 15 anni per vedere definitivamente sancita l'apertura alla magistratura anche per le donne.

Le costituenti, dunque, hanno fatto un lavoro lungimirante, perché hanno guardato avanti, anticipando con grande lucidità, l'evoluzione della società italiana. Esse, non tenendo conto delle convinzioni e dei pregiudizi del tempo, si sono battute per far conquistare alla donna una parità di diritti che, in ogni modo, garantisce e legittima ogni riforma e ogni legge successiva.

Negli anni successivi il suo impegno in Parlamento fu dedicato alla tutela del lavoro minorile e al il riconoscimento dei diritti delle donne lavoratrici. Sostenne il diritto delle donne ad entrare in magistratura e si batté affinché le condizioni di lavoro assicurassero alla madre e al figlio una adeguata protezione, rivendicò per le donne “non solo il diritto ma il dovere di lavorare”. Nel 1947 fondò con, Maria Federici, l’Ente per la tutela morale del fanciullo.

Il dissenso verso lo stalinismo di Togliatti e del gruppo dirigente,  le procura, nel 1955, la radiazione dal PCI. Nonostante l’amarezza per quella decisione, continua negli anni il suo impegno sul piano sociale. E' stata dirigente nazionale dell'Udi (Unione Donne Italiane). Meno nota ma assai importante è la sua attività in difesa dell’infanzia). Nel 1966 è diventata presidente della Cooperativa Monte Olimpino a Como, che con Munari, Piccardo e altri realizzava e produceva film nelle scuole, fatti dai bambini. Con la Lega per i diritti dei bambini ha promosso in tutto il mondo grandi campagne per la pace e la non violenza. In un video ai giovani di un circolo Arci qualche tempo fa disse: "Voi dovete essere meglio di noi, voi siete il futuro. Difendete la nostra costituzione, battetevi per un'Italia fondata sulla giustizia e sulla libertà". Il suo spirito antifascista e la sua sete di libertà e verità non fa venire mai meno l’impegno sulle grandi battaglie. Dal movimento del ‘68 fino alla partecipazione alle manifestazioni contro il G8 di Genova nel 2001.

Da un’intervista del 29 maggio 2006 - a cura di Giulia Pezzella, alla domanda: “Perché, secondo lei, è importante che ci sia una rappresentanza femminile significativa nel mondo politico? Teresa Mattei risponde:

“Le donne hanno, rispetto agli uomini, un atteggiamento e un modo di agire differente. Hanno una mentalità che definirei 'orizzontale', guardano quello che le circonda e si rimboccano le maniche per fare. Gli uomini guardano al potere e questo li porta ad avere un atteggiamento verticistico. Le donne, invece, preferiscono la conoscenza, il sapere; non vogliono comandare, ma condividere le scelte e i progetti. Vogliono costruire un mondo migliore per i loro figli, per i futuri cittadini. Per questo dovrebbero essere di più in Parlamento. Per questo dovrebbero essere ascoltate maggiormente e con più attenzione”.

La sua convinzione profonda sul ruolo delle donne è il lascito più prezioso di una vita intera spesa per la libertà e per i diritti.  Era l'ultima donna rimasta in vita fra le 21 che avevano partecipato alla stesura della Costituzione.E’ morta all'età di 92 anni, il 12 marzo 2013, a Usigliano di Lari (Pisa).

18 luglio 2016