Le autrici Fulvia Bandoli, Maria Luisa Boccia, Letizia Paolozzi, Stefania Vulterini testimoniano un percorso politico originale e vitale in un periodo confuso e difficile che va dal 2008 al 2022 (anni di crisi internazionale, dei partiti e poi di Covid).
“Il gruppo del mercoledì una storia femminista “ è un piccolo libro di un centinaio di pagine che ci sorprende con una ventata di positività in un momento tragico e di scoramento .
Le autrici Fulvia Bandoli, Maria Luisa Boccia, Letizia Paolozzi, Stefania Vulterini testimoniano un percorso politico originale e vitale in un periodo confuso e difficile che va dal 2008 al 2022 ( anni di crisi internazionale , dei partiti e poi di Covid).
Queste donne hanno scelto di mantenere viva la pratica femminista del piccolo gruppo restituendo con questo libro il senso di una esperienza intensa e feconda.
Le autrici si propongono di offrirci il racconto di una storia di amicizia e di una pratica di lavoro politico con l’auspicio che la loro testimonianza possa essere di esempio per altre , per mettersi insieme , crescere nel confronto, trovare parole, adeguate e consapevolezza per cambiare la vita.
Il gruppo si compone di vecchie amiche , compagne variamente collocate nell’area di una sinistra da cui si voleva prendere distanza.
Troppe le frustrazioni , i rituali che si consumano sempre uguali a se stessi “ di una sinistra chiusa nel dibattito tra oligarchie soprattutto maschili dove si ripropongono tutti i vizi che l’hanno portata allo schianto” . Si decide di prendere congedo da quei luoghi e anche da quelle persone che erano stati un punto di riferimento per iniziare un lavoro politico nuovo che vuole continuare ad interrogare la sinistra però da una diversa posizione, conflittuale “ma amorevole” in autonomia ma non autoreferenziale .
La pratica è quella di discutere nel gruppo , poi mettere per iscritto e proporre il documento in una discussione pubblica .
Non a caso tra i primi documenti troviamo quello “sul coraggio di finire”.
“A partire da noi”, così come vuole la storica pratica femminista e da una presa di distanza dalle stanche e poco convincenti analisi di partito sulla sconfitta , si affronta il tema del lutto , della necessità di accettarne l’esperienza, il dolore, l’impotenza che la fine costringe a vivere.
Lo si fa anche affrontando la realtà della malattia , della perdita di persone care , della fine della vita e delle relazioni.
Nella vita così anche in politica , per poter ricominciare e’ necessario prendere coscienza e separarsi da ciò che è finito . Il coraggio di finire ci e’ dunque necessario per sottrarci a meccanismi di ripetizione seriale e da quegli attaccamenti che ci inchiodano all’impotenza e tolgono libertà.
Il libro fin dalla introduzione di Letizia Paolozzi è anche vivace ricordo di vita delle compagne del gruppo scomparse prematuramente. Prima se ne va Laura ( Gallucci ), poi Rosetta (Stella ) , Bia ( Sarasini ) , Elettra (Deiana ) , infine Bianca (Pomeranzi) .
Letizia con rigore e leggerezza fa rivivere tutte le emozioni positive del tempo trascorso insieme nelle riunioni ( e nei dopo riunione ) dove si intrecciano il piacere delle relazioni , le discussioni veementi , l’arte e la fatica della composizione delle differenze. Si tratta di un ricordo che ci tocca profondamente Ciascuna è dipinta con i propri colori , le passioni , il temperamento , ognuna e’ viva , unica e presente tra le altre mettendo in scena una gestione dei rapporti mai gerarchica .
Alla presentazione seguono i diversi documenti elaborati negli anni . Testi cresciuti nell’attualità sociale sempre cercando il confronto tra punti di vista diversi su temi quali le unioni civili , le nuove famiglie , la gravidanza per altri , la violenza maschile , le guerre e la connessione tra sessismo, razzismo , suprematismo nazionalista .
Pregevoli sono anche le introduzioni ai singoli documenti e il lavoro di contestualizzazione di ogni testo negli accadimenti del periodo . La lettura ci conferma quanto rapidi siano i cambiamenti e quanto labile la memoria .
Su tutti i temi trattati e i documenti spicca certamente quello sulla cura . Un testo del 2011 che raccoglie riflessioni ( domande più che conclusioni) su una parola “maledetta” dal femminismo delle origini che rifiutava la cura come destino imposto alle donne , denunciava le trappole della oblativita’, l’asservimento e la strumentalizzazione del “dono d’amore” .
Scoprire che “ siamo riuscite a tenerci insieme proprio grazie alla cura del conflitto che non abbiamo rimosso ma affrontato grazie alla forza delle relazioni “ , e svelare che la cura, abbandonando logiche e gesti di potere, non è solo trappola e schiavitù ma energia vitale , ha consentito al gruppo di superare vecchie posizioni femministe e formulare una elaborazione aperta al futuro .
Nel testo sulla cura si parla di “un resto” nella altalena delle donne tra lavoro e vita. Un resto che non si sottomette al mercato e che non si esaurisce con la socializzazione del lavoro domestico, la conciliazione o la retrbuzione, ma piuttosto apre a nuove relazioni sociali “ affinché il mondo non si regga solo sulle relazioni di potere , ricchezza e sfruttamento , ma restituisca senso alla fragilità , al limite, alla responsabilità”.
La formulazione di quel “ resto “ rappresenta forse il lascito più promettente del lavoro politico delle donne del mercoledì , quello che potrebbe spingere ad un nuovo paradigma se al di là del femminismo che continua a discuterne si riuscisse ad aprire un dialogo più ampio per esempio con i sindacati.
Dialogare è forse l’impresa oggi più complicata . Il tragico ritorno sulla scena mondiale della guerra riporta inevitabilmente indietro le donne , deprime, irrigidisce e mette a rischio livelli di civiltà e democrazia . Anche nel femminismo le possibilità di dialogo sono spesso compromesse da irrigidimenti e arroccamenti ed in particolare con le più giovani il dialogo non c’è .
A disposizione di tutte resta la possibilità e il valore di un metodo, di una pratica del passato che ancora può dare molto . Quella della tessitura di relazioni attraverso le parole , una pratica che dia senso alle parole perché non restino solo tali ma aiutino a cambiare le cose .
Per tutto questo dobbiamo augurare a questo piccolo libro di viaggiare molto, incontrare tante e tanti , incoraggiare a prendere parola , mettersi insieme , riaccendere fiducia e possibilità per la “Vita activa”.
Anna Maria Carloni
21 luglio 2025