“Su oltre 5 milioni di stranieri regolari residenti, 2,3 milioni sono cittadini extra Ue titolari di permesso di soggiorno di lunga durata. Sono pienamente parte del nostro Paese, sono italiani di fatto. La vittoria del sì sarebbe un’azione di rafforzamento della nostra democrazia, di giustizia sociale, di umanità, si riconoscerebbe il contributo che queste persone hanno dato alla nostra società e alla nostra economia. Purtroppo a volte permane la rappresentazione stereotipata dell’immigrato”.
Porta il suo nome la legge del 1998, la “Turco-Napolitano“, che provava per prima ad affrontare il tema dell’immigrazione fuori dalla sola logica emergenziale. L’altro nome è quello dell’allora ministro dell’Interno e poi presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Lei è Livia Turco, ministra per la Solidarietà sociale dal 1996 al 2001. È sua anche la prima proposta di riforma, nell’agosto 2001, sulla legge della cittadinanza del 1992. La stessa legge su cui ora, in parte, si concentra il referendum dell’8 e 9 giugno: “Voterò sì. Sarà solo un avvio, anche se avrebbe un effetto immediato, sia per chi vuole acquisire la cittadinanza, sia per i loro figli”.
Onorevole Turco, il quinto quesito del referendum propone di dimezzare da 10 a 5 anni il tempo per poter richiedere la cittadinanza italiana. Che cosa ne pensa?
“Io voterò cinque sì a questi referendum. Per quanto riguarda la cittadinanza, credo che sia importante innanzitutto per ragioni di giustizia. Sarebbe un atto di verità”.
In che senso?
“Il quesito prevede una modifica della legge 91/1992, che allora fu fatta per ripagare in qualche modo il debito che si avvertiva nei confronti degli italiani all’estero. Una legge fortemente “ius sanguinis“, in cui ciò che conta è il criterio della discendenza e della famiglia. Il legislatore di allora dimostrò strabismo, perché l’Italia stava già diventando un Paese di immigrazione”.
Erano gli anni in cui arrivavano le navi piene di albanesi...
“Quella legge era antistorica, comunque fuori contesto. Ma ricordo che furono pochissimi gli interventi che riconoscevano questa situazione. L’Italia è di fatto un Paese plurale. E dieci anni per chiedere la cittadinanza sono troppi. Nessun altro in Europa ne chiede così tanti. La legge è fortemente penalizzante soprattutto nei confronti di chi viene da Paesi extra Ue”.
Se vincesse il sì, ci sarebbero effetti immediati anche per i figli degli immigrati regolari.
“Nella legge c’è quella norma capestro che non ha eguali in Europa: parla di 18 anni da vivere ininterrottamente in Italia perché lo straniero nato qui possa chiedere la cittadinanza. Per poi dare solo un anno di tempo per presentare la domanda. Bisogna proprio essere cattivi...”.
Quante persone potrebbero beneficiare di una modifica della legge?
“Su oltre 5 milioni di stranieri regolari residenti, 2,3 milioni sono cittadini extra Ue titolari di permesso di soggiorno di lunga durata. Sono pienamente parte del nostro Paese, sono italiani di fatto. La vittoria del sì sarebbe un’azione di rafforzamento della nostra democrazia, di giustizia sociale, di umanità, si riconoscerebbe il contributo che queste persone hanno dato alla nostra società e alla nostra economia. Purtroppo a volte permane la rappresentazione stereotipata dell’immigrato”.
È anche una questione di narrazione?
“È un elemento importante nel governo dell’immigrazione. Purtroppo anche a sinistra non siamo stati capaci di rappresentare l’immigrato reale. Nell’anno scolastico 2022-’23, i minori stranieri erano 900mila, il 65% dei quali nati in Italia. Sarebbe un bel segnale se dal voto nascesse un atto di verità e di serenità. La cittadinanza non è un lusso, vuol dire assumersi la responsabilità del bene comune”.
Crede che basti il dimezzamento da 10 a 5 anni? Il dibattito c’è, si parla di ius scholae, mentre il centrodestra ha varato una stretta sugli oriundi.
“Questo sarebbe solo un avvio, ma avrebbe un effetto immediato. Dopodiché bisognerebbe riformare tutta la legge sulla cittadinanza e io ne sono convinta”.
Senta, a parte l’indicazione di libertà di voto del Movimento 5 Stelle, su questo tema le opposizioni sono praticamente tutte d’accordo. Può partire anche da qui una convergenza nel centrosinistra?
“Credo di sì. E mi auguro che ci sia maggiore nettezza da parte dei Cinquestelle. Se vincesse il sì al referendum, intanto, sarebbe come dare un ceffone a certe politiche restrittive e securitarie del governo”.
Ma per vincere, bisogna anche superare il quorum.
“Mi rendo conto delle difficoltà, ma è cresciuta la mobilitazione e c’è un clima di attenzione e comprensione”.
Leggi l'intervista su Quotidiano Nazionale
06 giugno 2025