Welfare e Rappresentanza femminile nei ruoli e nei luoghi decisionali, di Lorena Pesaresi

L’intervento di Lorena Pesaresi della Fondazione Nilde Iotti al Convegno Associazione ELISA 83 sul ruolo delle donne nei servizi sociali che si è svolto a Perugia lo scorso 2 dicembre 2022 presso la Sala Consiglio provinciale Provincia di Perugia


Ringrazio l’Associazione Elisa 83 con il suo Presidente Adolfo Orsini, saluto  l’On. Livia Turco, Presidente della  Fondazione Nilde Iotti con la quale collaboro da qualche anno e che ringrazio nuovamente per avermi coinvolta in questo importante appuntamento di oggi sul ruolo delle donne nei servizi sociali.

Livia nel suo messaggio di questa mattina ha definito le donne costruttrici del welfare e delle politiche sociali. Parto da qui per portare il mio contributo su alcuni aspetti legati al diritto di cittadinanza delle donne in particolar modo sul rapporto lavoro-redditomaternità, un nodo irrisolto che rende ancora poco sostenibile il nostro welfare state nonostante le conquiste delle donne che hanno cambiato l’Italia [1] nel corso della storia repubblicana[2] e nonostante l’Italia abbia oggi una legislazione in materia di parità e pari opportunità tra le più avanzate nell’Unione Europea. Scarsi sono infatti i risultati prodotti che pongono l’Italia ancora oggi in una condizione  di“fanalino di coda” in Europa, sia nei servizi alla persona che nei livelli occupazionali e imprenditoriali femminili.

Pesa ancora, indubbiamente, il gap della rappresentanza femminile nei ruoli e nei luoghi della “decisione” che al contrario rappresenta la chiave di successo per uscire dalla crisi, per affermare concretamente la tanto evocata “democrazia duale” e per modernizzare una società capace dicostruire una nuova civiltà della relazione maschile e femminile. 

 Ciò implica anzitutto concepire o meglio percepire il valore delle “pari opportunità” non come “territorio” separato delle donne per le donne, ma come un processo di cambiamento culturale e sociale che deve investire donne e uomini insieme: l’unica strada per superare gli ostacoli che si frappongono alpassaggio dalla parità formale all’uguaglianza sostanzialeuomo-donna in ogni contesto sociale e organizzativo, precisando che il termine “uguaglianza” non significa essere “uguali” ovvero omologati al modello maschile, ma “pari” nella “differenza di genere”, con pari dignità e pari opportunità tra uomini e donne nell’esercizio dei diritti-doveri. 

Siamo un Paese che non riesce a fare i conti fino in fondo con il deficit di democrazia.C’è  un bisogno ancora forte di azioni positive contro lo “stereotipo” di genere, frutto di differenziazioni socialmente costruite che, come espresso anche dalla dottoressa  Sandra Sarti prima di me, ancora limitano le donne nei loro percorsi di vita, nel lavoro, nella carriera, nella procreazione, nella famiglia e nelle responsabilità della cura, nei rapporti di coppia, nel rispetto delle libertà personali, nel raggiungimento dell’autosufficienza economica…. 

Allora io credo che abbiamo una sfida dinnanzi a noi, forse la più importante, che deve riguardare anche e soprattutto gli uomini, consapevoli che servono “uomini nuovi” che si impegnino per dire NO alla violenza maschile contro le donne affinché la violenza non rimanga solo un problema di chi la subisce ma soprattutto di chi la agisce.

Uomini che riescano ad interrogarsi su come mai altri uomini che sono nella vita persone normali e quasi sempre insospettabili, diventano capaci di produrre violenze così inaudite sulle donne. E’ cioè importante accompagnare gli uomini a misurarsi con l’autonomia e l’autodeterminazione femminile e a non percepirla come una minaccia per la propria identità.

Servono uomini nuovi – citando Tiziana Ferrario (giornalista e scrittrice) - che aiutino gli uomini violenti a cambiare, che non girino la testa dall’altra parte davanti a un’ingiustizia perpetrata ai danni di una donna, che non giudichino una donna per come è vestita; Uomini che credano realmente nella parità in casa e nel lavoro condividendo le responsabilità familiari.  Ecco servono uomini nuovi che facciano rete con tutti  gli altri uomini che la pensano come loro e che facciano crescere altri uomini nuovi; Uomini che non si sentano a disagio se le loro compagne guadagnano di più – è ciò che purtroppo accade ancora in un sistema socio-economico in cui peraltro i dati ufficiali  ISTAT sul differenziale retributivo uomo-donna ci dimostrano sul  gender pay gap, che  in Italia le lavoratrici guadagnano mediamente il 20% in meno rispetto agli uomini e spesso anche a parità di mansione, considerando che il divario varia a seconda dei settori di lavoro, dell’età, dell’istruzione ma che di certo aumenta all’aumentare della qualifica professionale.

E’ bene inoltre precisare che le donne non guadagnano meno perché sono meno brave, ma perché sono donne per il permanere di ragioni di carattere culturale, sociale, economico, di conciliazione lavoro-famiglia, perché l’occupazione femminile è per lo più concentrata su lavori a più bassa retribuzione e perché le donne percepiscono minori benefici del salario accessorio. 

Ecco allora che servono Uomini nuovi che non chiedano alla madre dei propri figli di optare per il part time, ma lo facciano loro perché il “congedo parentale” quando nasce un figlio  è ormai un diritto ampiamente riconosciuto nel nostro Ordinamento con il Dlgs 151/2001:“Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”,grazie alle battaglie e alle riforme volute dalle donne. 

Ritengo importante soffermarmi su questo aspetto per parlare di  come la maternità sia ancora laprima causa di discriminazione per le donne in un rapporto di lavoro: non solo nel nostro Paese ci sono datori di lavoro che ancora oggi, prima di assumere una donna a differenza di un uomo, verificano se è sposata e se con figli o senza figli ma le donne sono anche le prime a perdere il posto di lavoro in tempi di crisi e non solo per effetto della pandemia... 

Infatti, nonostante l’evoluzione dei servizi sociali in Italia dal dopoguerra ad oggi, troppe donne ogni anno lasciano il posto di lavoro dopo la nascita del primo figlio per motivi di conciliazione famiglia-lavoro. Una ricerca di Manageritalia 2021[3] (Federazione manager del terziario),  ci dice che mediamente il “27% delle neo mamme lavoratrici lascia il lavoro e che la percentuale aumenta all’aumentare del numero dei figli”, che i lavori non retribuiti di cui la donna si fa carico sottraggono tempo alla carriera lavorativa e la obbligano spesso a contratti part-time: il 33% delle occupate contro il 9% dei colleghi uomini. 

E ancora secondo il Report ISTAT degli ultimi anni su: “I tempi della vita quotidiana”, gli uomini dichiarano di dedicare in media 9 ore a settimana ad attività non retribuite contro le 22 ore settimanali (ovvero 4 giornaliere) delle donne. 

Io credo che ci si debba interrogare su questo per sollecitare la necessità chela partecipazione delle donne al mercato del lavoro retribuito non può più essere trattata ignorando il ruolo che hanno i carichi di lavoro domestico e di cura svolti ancora per la maggior parte dalle donne.

Se andiamo per un istante ad analizzare il tasso di occupazione femminile, per fascia d’età e per numero di figli, ci accorgiamo che per ogni classe d’età, un aumento del numero dei figli determina drammaticamente una diminuzione del tasso di occupazione. È la classe d’età nella fascia 25-34 anni che, in presenza di 2 figli o 3 e più figli,  riporta i più bassi tassi di occupazione, considerando che è l’età più propizia per la crescita formativa e professionale di una persona:

Le donne tra i 25 e i 34 anni in presenza di 1 figlio hanno un tasso di occupazione pari al 49,9%, con 2 figli del 35,8% e con 3 e più figli il tasso si riduce al 21,5%.

La presenza di 3 e più figli fa comunque registrare un tasso di occupazione pari al 53,1% per le donne tra i 45-54 anni.

Anche il Rapporto BES – Benessere equo e sostenibile dell’Istat, conferma tale situazione evidenziando come  «in Italia, lo svantaggio delle madri occupate è evidente specie con figli in età prescolare.

Sempre secondo i dati ISTAT del 2019 – quindi non condizionati dal periodo pandemico – l’occupazione femminile eratra le più basse d’Europa: al 50%, rispetto al 70% dell’occupazione maschile. Con il Covid 19 la situazione è peggiorata. Secondo il bilancio di genere 2021 elaborato dal MEF si registra un tasso di occupazione femminile sceso al 49%, mentre il divario rispetto a quello maschile è salito a 18,2 punti percentuali (contro il 17.9% del 2019). E oggi in Italia meno di una donna su due, in età lavorativa, è occupata o in cerca di un’occupazione. E quelle che lavorano guadagnano meno. 

Un altro capitolo, questo, che ci deve far riflettere anche sulla questione della natalità in Italia.  L’Istat registra:   -1,3% delle nascite nel 2021 rispetto al 2020 e crollo del 31% se messo a confronto con il 2008, il più basso indice di natalità nella storia d’Italia. 

Anche per il 2022 si prevede una caduta a picco delle nascite  e non per il non desiderio di genitorialità delle giovani coppie ma per la durezza della realtà, per la precarietà del lavoro, per l’insufficienza e il costo dei pochi servizi all’infanzia, per il peso non condiviso delle responsabilità genitoriali e dei lavori di cura, per le rigidità dei modelli organizzativi delle imprese e il basso livello di occupazione femminile. 

Aprendo brevemente una finestra sulla nostra regione, dal 2014 al 2022  in Umbria la popolazione subisce una contrazione del 3,7%, superiore alla media italiana e del centroItalia. Considerando in particolare le nascite, la riduzione è del 26,3% passando dalle 7099 nascite del 2002 alle 5231 del 2021 (Report Regione Umbria ottobre 2022) .

Ho voluto riportare questo quadro per sottolineare in sintesi quanto sia fondamentale il legame tra lavoro, reddito e maternità.

La consapevolezza che dobbiamo acquisire  è che la crisi demografica non si risolve con un mero cambio di denominazione del dicastero ”Ministero della Famiglia, della Natalità e delle Pari Opportunità”, ovvero - come annunciato dalla Ministra Roccella - con una mera revisione nella prossima  legge di bilancio dell’assegno familiare in proporzione al numero dei figli per contrastare  denatalità e sostenere maternità e famiglia,  ma con politiche più efficaci e non ideologiche.  

Bisogna aggredire le cause che determinano la denatalità:la solitudine delle madri e l'irrisolto rapporto tra maternità e lavoro. Serve dimostrare che le pari opportunità nell’accesso al lavoro non siano vissute come una concessione o la “causa residuale” ma come concezione di una società, la condizione necessaria per la libera scelta di maternità e  paternità. E che condividere le responsabilità di cura e genitoriali ne deve diventare la premessa. 

Ma allora cosa serve in concreto? Io dico che per superare la rinuncia alla maternità e alla paternità non servono evocazioni valoriali identitarie prese dal “vocabolario antico”[4], prendendo in prestito questo termine da uno scritto dell’ex parlamentare Titti di Salvo. 

Serve un cambio di prospettiva: un patto promosso da chi governa per realizzarlo. 

Ma come? 

  • rendendo concrete e coerenti tutte le azioni previste dal PNRR per l’inclusione sociale che ha come priorità principali: la parità di genere, la protezione e la valorizzazione dei giovani, il superamento dei divari territoriali;
  • fissando l’aumento dell’ occupazione femminile come grande obiettivo nazionale su cui chiedere un patto esplicito da contrarre con tutte le forze politiche e sociali.  È necessario cioè che alle politiche pubbliche nazionali sulle infrastrutture sociali e alle norme non risibili sulla condivisione del lavoro di cura tra madri e padri, corrispondano comportamenti coerenti: delle imprese nelle assunzioni e nella organizzazione della produzione; delle organizzazioni sindacali nei rinnovi contrattuali; delle amministrazioni pubbliche negli orari delle città e nell’organizzazione dei servizi; della scuola nell’educazione al rispetto delle differenze; dell’informazione nel veicolare messaggi coerenti;
  • Lavorando per una suddivisione socio-economica più equa tra i generi per liberare l’intera società dall’immaginario patriarcale, quindi dalle strutture di potere e modelli di pensiero, comportamenti e relazioni profondamente radicati nella socializzazione maschile. Ecco perché il superamento degli stereotipi di genere deve riguardare  anche e soprattutto gli uomini in un processo collettivo di decostruzione della socializzazione patriarcale maschile;
  • intervenendo di più e meglio  nella formazione sistemica  delle giovani generazioni con i soggetti competenti in materia di istruzione per azioni di contrasto degli stereotipi ancora presenti nelle nuove generazioni. Educare le bambine, le ragazze, le giovani donne alla dignità, all’ autostima, alla cura e all’amore di sé; educare i bambini, i ragazzi, i giovani uomini a sottrarsi alle leggi della sopraffazione e della violenza e di una malintesa virilità. In sintesi - attraverso azioni di incoraggiamento alla revisione degli strumenti formativi e attraverso la formazione degli insegnanti, dei ragazzi e delle ragazze - educare alla cura di sè, dell’altro, del mondo;
  • creando così le condizioni per  uscire dal modello sociale maschilista, il perno ancora oggi del potere dominate che per secoli ha tenuto in ostaggio le donne a discapito di quella parità ampiamente riconosciuta dalla Costituzione italiana e di cui dobbiamo andare fieri ringraziando le nostre Madri e Costituenti della Repubblica italiana cui si ispira la missione e l’attività della Fondazione Nilde Iotti che qui oggi rappresento.

In tutto questo un ruolo fondamentale spetta sempre alla politica – è bene sempre sottolinearlo - per superare ritardi di cultura e di azione politica: serve cioè non solo “evocare” ma promuovere e valorizzare sul campo ogni giorno, in ogni contesto organizzativo e sociale, il talento, il sapere, la competenza, l’esperienza delle donne e la rappresentanza femminile nei processi decisionali, nei ruoli e nei luoghi dove le decisioni si formano e dove le donne riescono di meno ad esserci, a partire dai massimi organi rappresentativi dello Stato: dal Parlamento alle cariche dirigenziali dell’amministrazione centrale dello Stato; dal Governo, alle Regioni e ai Comuni.

Se negli anni 2000 – gli anni del berlusconismo[5] - il cambiamento della politica diventa vero e proprio degrado quando si traduce nel patto sesso-potere-denaro sostanziandosi  nella concezione della sessualità maschile basata sul potere e riducendo di fatto la rappresentanza politica a merce di scambio, tuttavia  nel 2011 –  precisamente il 13 febbraio, un giorno importante che segna la storia recente delle donne italiane - in tante sono scese in piazza sotto lo slogan “Se non ora quando” per dire NO a quel patto sessopotere-denaro e per affermare, in tante e diverse, la dignità delle donne.   

E ancora se “nel 2018 la partecipazione delle donne alla vita politica segna un discreto cambio di passo, grazie a nuove norme sulla democrazia paritaria che hanno fatto registrare il 45% delle candidature al femminile con un risultato elettorale che ha visto un aumento percentuale delle elette in Parlamento, tra Camera e Senato, pari al 35%”, pur tuttavia, oggi assistiamo nuovamente ad un arretramento della rappresentanza elettiva femminile, complice anche la riduzione del numero dei parlamentari, che alle elezioni politiche 2022 dello scorso 25 settembre  ha visto le donne pagarne il prezzo più alto con il 31% di elette  (contro il 35% della scorsa legislatura), con l’aggiunta di un maggiore astensionismo delle donne  al voto: in quasi 9 comuni su 10 l’affluenza maschile è stata maggiore di quella femminile, nonostante avessimo oggi, per la prima volta nella storia d’Italia, una donna alla Presidenza del Consiglio di ministri.

Ecco riflettere su tutti questi punti credo che sia d’obbligo l’attenzione di tutti, che sia l’abc  per costruire una democrazia sana, un benessere sociale apprezzabile, il modo per “elevarci” a Paese civile al servizio di tutti e non di pochi, per una società moderna, più equa e capace di superare le diseguaglianze sociali e non alimentarle. 

Su questo c’è in sintesi un’alleanza da costruire, uomini e donne insieme. Questo significa per me essere femministe/femministi dell’oggi nella consapevolezza prima di tutto, citando ancora la scrittrice-giornalista Tiziana Ferrario6 che  “quando gli uomini vivranno la violazione di un diritto di una donna come la violazione di un loro diritto, solo allora le donne scopriranno di essere davvero libere”. 

 In sintesi, riprendendo un discorso di Mia Caielli7, ricercatrice dell’Università di Torino, credo anch’io che l’obiettivo da porsi con le cosiddette quote  elettorali di cui ancora si avverte l’esigenza, a settant’anni dal riconoscimento costituzionale del diritto di elettorato passivo alle cittadine, non è tanto e solo quello quantitativo, della eguale presenza di donne e uomini negli organi rappresentativi, cui spesso inconsciamente ci si riferisce quando si discorre di democrazia “paritaria”, quanto, piuttosto, quello di andare oltre l’approccio meramente anti-discriminatorio e neutralizzante per integrare la prospettiva di genere nell’attività politico-legislativa8.

Lorena Pesaresi

Note:                                                         

[1] Cfr. Fondazione Nilde Iotti, Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia, Ediesse, Roma, 2013.

[2]   Pesaresi L. (a cura di), La bella politica: le conquiste delle donne che hanno cambiato l’Italia,  Video 2° ed. 2020,  https://www.youtube.com/watch?v=tku7aLW0I_s

[3] Cfr. dati Istat e Isfol

[4] Cfr. On. Titti di Salvo ex parlamentare

[5] Un periodo storico della vita politica italiana caratterizzato da una forte trasformazione della politica, i cui tratti dominanti sono il ruolo preminente del leader, il mito dell’apparire e la conseguente centralità del corpo.  Su questo argomento si veda, tra gli altri, Fondazione Nilde Iotti, L’Italia della donne, Settant’anni di lotte e di conquiste,  Donzelli Editore, Roma, 2018, pp. 24, 77, 84.

[6] - Cfr. Tiziana Ferrario, “Uomini è ora di giocare senza falli”, Chiarelettere editore, Milano, 2022. Il libro è stato presentato pubblicamente dalla Fondazione Nilde Iotti il 15 gennaio 2021 a Perugia; - Tiziana Ferrario: … “Come agisce un uomo femminista” contiene un lungo elenco di comportamenti. Il denominatore? Questo uomo nuovo non si limita a parlare, agisce: in casa, in ufficio, in pubblico. Sostiene azioni a favore di tutte le donne. Dà lo stesso salario a uomini e donne. Incoraggia i padri a prendere permessi di paternità. Crea un ambiente di lavoro funzionale per i genitori. Concede orari flessibili in ufficio. Si occupa dei figli non saltuariamente. Interviene, se vede un comportamento inappropriato verso una donna.   [7] Cfr. M.Caielli, Per una democrazia duale: perché il genere dei nostri rappresentanti continua ad avere importanza, 2019.   [8] Cfr. Barbara Pezzini e Anna Lorenzetti, 70 anni dopo tra uguaglianza e differenza. Una riflessione sull'impatto di genere nella Costituzione e nel costituzionalismo”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2019.

 

14 dicembre 2022