25 aprile. La Resistenza in Basilicata e la Repubblica di Meschito, di Lucia Sileo

Una timida ripresa dell’ attività politica, in Basilicata, si registrò già a partire dal 1942, quando gli esponenti delle forze antifasciste attive nel periodo liberale ricominciarono ad incontrarsi fra loro. Nel giugno 1942 i socialisti Vincenzo Torrio e Oreste Lizzadri iniziarono a riorganizzare il Psiup nella clandestinità. Una trattazione maggiormente approfondita merita l’istituzione della “Repubblica” di Maschito che durò una ventina di giorni prima di essere sciolta dagli alleati...


La transizione istituzionale Il 2 giugno 1946, in Italia, tutte le donne e tutti gli uomini che avevano raggiunto la maggiore età furono chiamati alle urne per esprimersi circa l’assetto istituzionale e per eleggere i deputati all’Assemblea costituente.

Questo momento elettorale costituisce la fase terminale di un lungo processo, iniziato l’8 settembre 1943, allorché attraverso la radio venne reso noto a tutti l’armistizio che il generale Castellano, per conto del governo Badoglio, aveva firmato con le potenze angloamericane a Cassibile, in Sicilia. Il giorno stesso, così come era stato garantito dagli alleati al momento della stipula dell’armistizio, l’esercito anglo-americano sbarcava a Salerno (1).

Aveva inizio quel giorno l’occupazione, da parte dei tedeschi, del territorio italiano. Occupazione preparata con cura nei quarantacinque giorni del governo Badoglio, quando il governo nazista, probabilmente mettendo in conto la possibilità di uno stravolgimento delle alleanze, aveva mirato a raddoppiare la presenza dell’esercito tedesco sul territorio italiano disponendo il trasferimento di otto divisioni.

In questo modo, il numero di soldati tedeschi presenti sul territorio, alla data dell’armistizio, eguagliava quasi il numero di soldati italiani, e li superava, di gran misura, in termini di equipaggiamento e di organizzazione (2).

L’8 settembre costituisce il momento decisivo di scompaginazione dell’assetto istituzionale italiano.

Il 25 luglio, infatti, data in cui il re, in seguito alla sfiducia data al duce dal Gran Consiglio del fascismo, aveva destituito e fatto arrestare Mussolini, aveva significato la fine del fascismo; tuttavia l’impianto strutturale dello Stato era rimasto in piedi, né era stato dato modo alle forze politiche, che fino a quel momento avevano agito nella clandestinità, di riorganizzarsi e avere voce in capitolo.

Giudizi storiografici relativi all’impatto avuto dalla destituzione di Mussolini, da parte del re, sulla compagine istituzionale mettono in evidenza quanto l’esautorazione del duce, pur potendo considerarsi conforme all’ordinamento vigente perché disposta appellandosi ai poteri accordati al re dallo Statuto albertino, rimasto in vigore durante il fascismo, abbia segnato una discontinuità sia con la prassi definitasi negli anni dei governi liberali, sia con l’assetto istituzionale determinatosi attraverso l’apparato normativo successivo al 1922 (3).

Il re agì considerando valide le norme statutarie: rifacendosi all’articolo 65 dello Statuto destituì Mussolini e affidò a Badoglio l’incarico di formare un nuovo governo; applicando l’articolo 9, sciolse le Camere e dispose che le nuove elezioni avvenissero non oltre quattro mesi dalla fine delle ostilità (4).

Tuttavia, i poteri di nomina e di destituzione dei ministri, attribuiti al monarca dall’articolo 65, già negli anni precedenti all’avvento del fascismo, erano diventati una prerogativa piuttosto formale, di concerto all’ampliamento dei poteri del parlamento (5).

In secondo luogo, il re agì in aperta violazione dell’articolo 13 della legge 9 dicembre 1928, n. 2693, in cui si stabiliva, in caso di una mancata copertura della carica di capo del Governo, che il monarca ricorresse, per designare il successore, ad una lista di nomi fornitagli dal Gran Consiglio del fascismo.

L’istituzione di specifici organismi, nel corso del ventennio, aveva di fatto comportato una variazione sostanziale dell’assetto istituzionale e uno slittamento degli organi decisionali, pertanto, nel 1943 gli atti regi non potevano, nei fatti, aver vigore e il re, rifacendosi al passato, mutava sostanzialmente l’ordinamento vigente.

L’8 settembre è dunque una data decisiva dal momento che solo da allora ebbe inizio un processo di disarticolazione dell’assetto istituzionale precedente, al punto che la ricomposizione successiva avrebbe dovuto fondarsi su altri presupposti. In questo rinnovamento della struttura statale giocò un ruolo sostanziale sia la condizione, imposta dagli alleati al momento dell’armistizio, di defascistizzare lo Stato e di demandare agli italiani la decisione di scegliersi la propria forma di governo; sia il ruolo che acquisirono i Comitati di Liberazione Nazionale (Cln).

I Comitati di Liberazione Nazionale Il primo Cln nacque a Roma all’indomani dell’8 settembre. Si trattava di un’organizzazione che aveva l’obiettivo di coordinare e dirigere le azioni di resistenza contro gli occupanti tedeschi e i loro sostenitori autoctoni e riuniva in sé le rappresentanze dei partiti antifascisti, vale a dire la Democrazia cristiana, la Democrazia del lavoro, il Partito d’azione, il Partito comunista, il Partito liberale, il Partito socialista italiano di unità proletaria.

Questo organismo si rifaceva al Comité de libération nationale francese messo in piedi dal generale De Gaulle nell’Algeria liberata; tuttavia, fra i due organismi, intercorrevano differenze sostanziali: il Cln francese era espressione di tutta la classe dirigente francese non collaborazionista, che fino al 1940 era stata presente con ruoli di rilievo nella vita politica francese; quello italiano, nascendo dopo vent’anni di dittatura, constava di uomini che prima dell’avvento del fascismo militavano in partiti poi perseguitati dal regime, da qualche membro della classe dirigente liberale dell’Italia prefascista, e da uomini nuovi (6).

Il Cln, in Italia, nasceva, dunque, anche per l’esigenza di un rinnovamento della struttura politica, amministrativa, economica e sociale della nazione (7).

Essi rappresentavano il reale momento di cesura con il passato e segnalavano l’esistenza di uno scenario politico nuovo, caratterizzato dalla presenza di partiti di massa. Proprio al loro interno ebbero luogo, sin da subito, i primi dibattiti relativi all’assetto istituzionale da dare al Paese e alle modalità da seguire per costruire un’Italia democratica.

Fra le posizioni dei diversi partiti emersero, a questo proposito, forti contrasti. Gli orientamenti oscillavano fra quello schiettamente repubblicano dei partiti socialista e comunista e quello decisamente monarchico verso cui propendevano i liberali (8).

Il dibattito era vivace anche sulle questioni politiche imminenti, dal momento che il Partito comunista, quello socialista e il Partito d’azione ritenevano che il governo Badoglio si dovesse dimettere e che il re dovesse abdicare.

Le diverse formazioni politiche si confrontarono ampiamente in occasione del primo congresso dei partiti del Cln, che si tenne a Bari il 28 gennaio 1944.

In questa occasione emerse l’esigenza di formare un nuovo governo, composto dei partiti presenti nel Cln, che si proponesse, fra le altre cose, di dare vita, a guerra conclusa, all’Assemblea costituente.

Nella risoluzione del dibattito relativo alla questione istituzionale, un ruolo importante fu quello svolto, nel marzo del 1944, dalla scelta di Togliatti, di rinviare la decisione sull’assetto istituzionale del Paese a liberazione avvenuta, per far sì che la lotta di resistenza ai tedeschi e ai fascisti potesse continuare con una certa compattezza. Nel contempo, il re si impegnò a trasmettere i poteri al figlio, Umberto, e a dar vita pertanto alla Luogotenenza (9).

Nell’aprile del 1944, le deliberazioni del congresso di Bari e gli impegni assunti dai partiti del Cln e dal monarca si concretarono in una serie di atti. In questo mese avvennero mutamenti importanti della struttura istituzionale italiana, che significarono di fatto la fine dell’influenza dello Statuto albertino. Prese corpo l’istituzione della Luogotenenza e nacque un nuovo governo, presieduto dallo stesso Badoglio, cui parteciparono i partiti presenti nel Cln.

Nel contempo, si cominciò a riflettere per stabilire quale fosse il modo più opportuno per decidere la forma istituzionale. I momenti decisivi di questo percorso sono rappresentati dal decreto legislativo luogotenenziale 25 giugno 1944 n.151, con cui si demandava la scelta sull’assetto istituzionale all’Assemblea costituente eletta dal popolo a liberazione avvenuta; dall’ordinamento della Consulta nazionale, istituita dal governo Bonomi nell’aprile del 1945, al fine di allargare il dibattito politico al di là dei partiti presenti nel Cln e col compito di redigere la legge elettorale per la Costituente; infine dal decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946 n. 98 col quale si affidava la decisione della forma istituzionale ad un referendum popolare, mentre alla Costituente, eletta a suffragio universale, restava il compito impegnativo di redigere la Costituzione.

La proposta di demandare a un referendum la decisione istituzionale venne avanzata da Pietro Nenni (10), che così facendo accoglieva le richieste provenienti dal mondo monarchico.

Questa soluzione fu caldeggiata da una parte della Dc e trovò, invece, meno propensi i comunisti, dal cui punto di vista il dibattito sull’ordinamento istituzionale avrebbe dovuto svolgersi all’interno dell’Assemblea costituente: il loro timore, infatti, era che attraverso il referendum potesse essere più facile dar voce ai sentimenti più reazionari presenti nel Paese.

Riverberi in Basilicata
Una timida ripresa dell’ attività politica, in Basilicata, si registrò già a partire dal 1942, quando gli esponenti delle forze antifasciste attive nel periodo liberale ricominciarono ad incontrarsi fra loro. Nel giugno 1942 i socialisti Vincenzo Torrio e Oreste Lizzadri iniziarono a riorganizzare il Psiup nella clandestinità.

Nel contempo l’Azione cattolica, di cui il giovane Emilio Colombo era vicepresidente nazionale, promosse un convegno di tre giorni che si tenne dal 17 al 20 luglio 1942 a Potenza, presso l’istituto Principe di Piemonte, cui parteciparono le parrocchie.

Il Partito comunista mostrava maggiori difficoltà a strutturarsi, tuttavia i suoi dirigenti locali mantenevano contatti con i gruppi comunisti che operavano sull’intero territorio nazionale (11); mentre i liberali che facevano capo a Nitti, cominciarono a riorganizzarsi solo all’indomani del 25 luglio per iniziativa dell’onorevole Vito Reale. Da questa data e ancor maggiormente a partire dall’8 settembre incontri e riunioni divennero via via più frequenti, ed anche in Basilicata i partiti diedero vita a Comitati di liberazione provinciali e comunali che agivano in concomitanza con i gruppi nazionali (12).

In questo periodo, a cavaliere fra la disgregazione del regime fascista e l’arrivo degli alleati, nonostante entro un clima complessivo non particolarmente conflittuale (13), si verificarono anche in Basilicata episodi di rivolta popolare contro gli occupanti tedeschi e i fascisti. Si trattava di manifestazioni spontanee che avevano come protagonisti le classi popolari e che divenivano sempre più frequenti con lo scompaginarsi dell’organizzazione politica e burocratica (14).

In particolare, nel 1943 forti scontri vi furono a Matera, dove la cittadinanza insorse contro le truppe naziste (15); a Irsina, dove nel corso di una sassaiola contro notabili del posto accusati di collaborazionismo, un uomo fu ucciso e un altro gravemente ferito; a Montescaglioso, dove le proteste sfociarono in atti violenti contro ex fascisti e grossi proprietari terrieri e a Rionero, dove un paracadutista tedesco venne ucciso con la triste conseguenza di un eccidio di 16 innocenti (16).

Una trattazione maggiormente approfondita merita l’istituzione della “Repubblica” di Maschito.
Qui nei giorni precedenti l’arrivo degli alleati, diffusasi nel paese la voce di un prossimo ripristino dell’amministrazione fascista supportata dall’esercito tedesco, si insediò un governo municipale guidato dal contadino Domenico Bochicchio, che organizzò la difesa del paese dai nazisti già a Forenza e impedì ai fascisti di rincontrarsi. Si trattò di un’esperienza singolare, nel corso della quale ebbe luogo anche la distribuzione ai cittadini di viveri e vestiario e che fu funestata dall’omicidio disposto dal Bochicchio di un suo collaboratore, accusato di aver tenuto per sé alcune paia di scarpe (17).

La “Repubblica” durò in tutto una ventina di giorni e venne sciolta dagli alleati. Le forze alleate, infatti, ovunque tesero ad affidare la gestione delle amministrazioni ai gruppi nittiani che ora ruotavano attorno a Vito Reale, mediante i quali riuscirono a reinserirsi nella gestione della cosa pubblica anche uomini precedentemente compromessi col regime, dando luogo a fenomeni di trasformismo evidenti (18).

La Società esattorie meridionali e il Consorzio agrario erano rimasti sotto il controllo di esponenti fascisti e nel Materano la situazione non era diversa: qui il Comitato di liberazione segnalava la presenza nella commissione di epurazione di un ex segretario del fascio, e a capo dell’Ufficio tecnico dell’amministrazione provinciale vi era un ex centurione della milizia. Solo alla fine del 1944, con la nomina del comunista Michele Bianco a commissario del Consorzio agrario, decisa dal ministro dell’Agricoltura, Fausto Gullo, cominciarono a saltare alcuni equilibri (19).

In questi mesi, i gruppi liberali, avendo vissuto lontani dal clima politico che aveva visto nascere i Cln, pensavano ancora di potersi rapportare all’elettorato come in passato, tuttavia il radicarsi repentino dei partiti di massa avrebbe loro dimostrato che quella stagione politica era finita. In questi stessi giorni, infatti, in Basilicata, le forze politiche presero a strutturarsi come partiti moderni e ad aprire sezioni sui territori. Il numero degli iscritti alle sezioni operative nelle due province come anche la consistente partecipazione ai comizi pubblici erano un segnale di quanto la gente intendesse prendere parte alla vita pubblica, e lasciava presagire l’inizio di una nuovo modo di fare politica, per cui i vecchi gruppi di notabili erano ormai inadeguati.

Nel 1944 il Pci aveva 3500 iscritti a Matera per un totale di 26 sezioni e 4200 iscritti a Potenza in 43 sezioni. La Democrazia cristiana contava 3200 iscritti a Matera organizzati in 18 sezioni, e 3500 a Potenza. I socialisti avevano 2000 iscritti a Matera e 2600 a Potenza (20).

Nel frattempo, a partire dall’autunno del 1944, le campagne furono teatro di forti scontri che videro protagonisti non solo i braccianti, ma più in generale i contadini e talvolta anche i piccoli proprietari.

Queste lotte, nate in maniera piuttosto spontanea, avevano come oggetto rivendicazioni disparate che andavano dalla richiesta di proroga dei contratti di affitto, al rispetto delle tariffe contrattuali , alla messa a coltura delle terre abbandonate, e dal 1946 la richiesta di esecuzione dei decreti Gullo (21), emanati nel 1945 (?) e relativi alla ripartizione dei prodotti e alla riduzione al 30% dei canoni di affitto (22). Prime manifestazioni si ebbero a Calvello, Laurenzana, Ruoti, poi nei comuni del Melfese e del Materano e nei grandi feudi Doria e Ruffo nell’Aviglianese.

Nella primavera del ’45 si intensificarono gli scioperi e imponenti manifestazioni si ebbero a Ferrandina, dove migliaia di contadini assalirono l’ufficio annonario e la pretura e giustiziarono il primo podestà Vincenzo Caputi, accusato di essere il mandante dell’omicidio del sindaco socialista Montefinese. A Matera, una folla di piccoli proprietari e contadini distrusse l’ufficio annonario e il locale del Consorzio degli agrari e assaltò le carceri liberando 49 detenuti (23).

Come in precedenza è già stato accennato, nell’Ottobre 1945 (?) si ebbe con la legge Gullo il primo provvedimento governativo che rispondeva alle richieste dei contadini. Ad essa seguirono i decreti del prefetto Ponte sull’imponibile di manodopera, sugli ammassi di grano e sulla distribuzione di beni ai contadini (24).

Negli anni a seguire fino al 1950, anno in cui venne emanata la legge stralcio, nelle campagne lucane le lotte contadine furono molto intense soprattutto nel metapontino, tuttavia il movimento contadino fu vasto anche nel Vulture, nelle montagne fra Stigliano e Tricarico, sulle zone collinari di Irsina, Ferrandina e Genzano. Taluna storiografia ha inteso leggere il decennio 1940-1950 come un periodo unitario, in cui “il movimento contadino” portò avanti le sue rivendicazioni con una forza inedita obbligando i partiti politici nascenti a porsi in modo preminente il problema della terra.

Secondo quest’ottica le origini del movimento per la terra vanno cercate nei moti spontanei che investirono le campagne lucane a partire dal 1940, nelle insurrezioni anti-naziste del 1943. Viene, tuttavia, individuata una differenza fra le sollevazioni contadine del 1944-45 e quelle del 1949-50: nel primo caso l’organizzazione politica fu debole e prevalse il carattere spontaneo delle manifestazioni. Al contrario negli scioperi del periodo successivo, partiti e sindacati svolsero un maggiore controllo sul movimento (25).

Lucia Sileo

1 Giangiulio Ambrosini, Introduzione a Costituzione italiana, Torino, Einaudi, 2005.
2 Ernesto Ragionieri, L’Italia alla fine della II guerra mondiale, in Storia d’Italia dall’Unità a oggi, Torino, Einaudi,1976.
3 Andrea Colelli, La Costituzione allo specchio. Il processo costituente e le miserie costituzionali del presente, Roma, Ediesse, 2006, p.; Ambrosini, op. cit..
4 Giangiulio Ambrosini, op. cit..
5 Andrea Colelli, op. cit. p. 37.
6 Ernesto Ragionieri, op. cit..
7 Ernesto Ragionieri, op. cit..
8 Giangiulio Ambrosini, op. cit., p. XIII
9 L’ipotesi di ricorrere all’istituto della luogotenenza era stata elaborata dall’esponente liberale De Nicola e caldeggiata dall’Unione Sovietica, che aveva fatto pressioni sulla Commissione alleata affinché, di concerto al governo Badoglio, spingesse il re ad accettare questa soluzione.
10 Alberto De Bernardi e Luigi Ganapini, Storia d’Italia. 1860-1995, Milano, Bruno Mondatori, 1996.
11 Giampaolo D’Andrea, op. cit., p. 267.
12 Ibid. p. 268
13 Nino Calice, Partiti e ricostruzione nel Mezzogiorno, Bari, De Donato Editore, 1976, pp.21-22.
14 Giuseppe Ciranna,
15 Raffaele Giura Longo, La Basilicata moderna e contemporanea, … p. 272. 16 Ibidem
17 Ibid. p.273. Id., Movimento contadino, classe politica e intellettuali nel secondo dopoguerra: il Mezzogiorno e la Basilicata, in ‹‹Dall’occupazione delle terre alla riforma agraria››,1999, 3, pp.25-33; Nino Calice, op.cit., pp.26-27.
18 Giuseppe Ciranna,
19 Giampaolo D’Andrea, op. cit., p.281.
20 Ibidem
21 Ibidem
22 Giuseppe Ciranna,
23 Giampaolo D’Andrea, op. cit, p.284.
24 Raffaele Giura Longo, Movimento contadino, cit., pp.25-33.
25 Raffaele Giura Longo, La Basilicata moderna… cit., p. Id. Movimento contadino.., cit . p.

24 aprile 2020